INCONTRO

Il cardinale Parolin in cattedrale: «Cerchiamo la pace dentro di noi»

Educazione del cuore, educazione alla pace. Parte da qui, dai fondamenti del difficile compito dell'educare i giovani la seconda edizione di «Basilica e Agorà», aperta ieri sera da Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in una cattedrale affollata.

Educazione sì, ma con un occhio ai tempi difficili che stiamo vivendo. E a far irrompere gli echi di guerra in cattedrale è il vescovo Enrico Solmi. «Si creino le soluzioni per una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura» afferma, citando le parole di Papa Francesco in merito alla guerra in corso in Ucraina dopo l'aggressione russa.

Dal particolare, si passa all'universale. E allora cosa significa educare alla pace? Non certo pensare che i conflitti riguardino situazioni così complesse da restare lontane dalla nostra esistenza quotidiana. Citando il Papa, Parolin ricorda che «le grandi trasformazioni non si costruiscono a tavolino». E che quindi «nessuno è escluso dall'architettura della pace, nessuna istituzione e nessun individuo», aggiunge il segretario di Stato.

«Un cuore educato è senz'altro un cuore che è artefice e costruttore di pace», spiega, assicurando che educare i cuore dei giovani è «educarli alla pace». Ma attenzione, perché le minacce sono tanto sullo scacchiere geopolitico, quanto nel quotidiano. «Pensate solo alla violenza verbale e psicologica che possiamo riversare sui social media e che finisce per creare una conflittualità diffusa».

E allora il primo passo per portare pace nel mondo è iniziare a costruire la pace nel nostro cuore. «Molti eventi di guerra restano fuori dalla nostra portata, ma espellere la violenza che è in noi è qualcosa che dobbiamo e possiamo fare».

Da qui, la condanna verso ogni rassegnazione alla guerra. «Educare è sempre un atto di speranza», dice citando il Papa. Quindi l'educazione è un antidoto all'indifferenza e al pessimismo.

«Un conflitto lascia ferite profonde che si protraggono per decenni», avverte Parolin. L'educazione serve quindi a ricreare «la cultura di una comune appartenenza» al di là di ogni divisione.

La pace si costruisce anche costruendo la solidarietà: ogni generazione è chiamata a rinsaldare i legami e a ricostruire ciò che si è disciolto. «È funzionale alla pace anche l'educazione al servizio». Al servizio della comunità, dei più bisognosi, così da poter sperimentare che c'è più gioia nel dare che nel ricevere. «Avere occhi e cuori aperti verso chi è più debole», dice Parolin.

«L'educazione alla pace presuppone l'educazione di ciascuno all'autodominio, a considerare gli altri non come appendici del mio io». Il noi davanti all'io, ad un io che spesso è tiranno e prevaricatore.

«Non solo le guerre internazionali, ma ogni conflitto disumanizza l'esistenza e fa deteriorare la fraternità universale», afferma, con un chiaro riferimento all'oggi. A ciò che accade nel mondo.

Nella sua lezione non c'è alcun cenno alle parole di Papa Francesco alla Radio televisione svizzera RSI a proposito della guerra fra Russia e Ucraina. Parole che avevano scatenato un polverone. Il pontefice, parlando del coraggio della bandiera bianca, del coraggio di negoziare si rivolge solo all'aggredito e non all'aggressore. Questa la critica ricorrente.

Intervistato dal Corriere della Sera, il segretario di Stato però ha sgombrato il campo dai fraintendimenti: tra Ucraina e Russia si deve arrivare, attraverso la via diplomatica, ad una pace giusta e duratura. «È ovvio che la creazione di tali condizioni non spetta solo ad una delle parti, bensì ad entrambe, e la prima condizione mi pare sia proprio quella di mettere fine all'aggressione». Nell'intervista al quotidiano non aveva nascosto i timori della Chiesa. «La Santa Sede è preoccupata per il rischio di un allargamento della guerra». E ancora. «Il rischio di una fatale “deriva” nucleare non è assente». Una deriva che rischia di cancellare il futuro che è e che deve restare nelle mani dei giovani.

Pierluigi Dallapina