Editoriale

L’occidente e i suoi valori: siamo già alla bandiera bianca?

Pino Agnetti

Ma esiste ancora l’Occidente? Il dubbio, tutt’altro che “filosofico”, non riguarda i confini geografici e neppure il Pil del “mondo” in cui siamo nati e cresciuti. Bensì i suoi stessi valori fondanti: libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani, solo per citare i principali. Ed è un dubbio a cui non è più possibile sottrarsi, anche perché a legittimarlo c’è tutta una catena di fatti e di episodi in apparenza “minori”, ma rivelatori di una patologia ben più diffusa e profonda. Proverò ad elencarne alcuni. Uno street artist italiano - Jorit, al secolo Ciro Cerullo - si fa immortalare abbracciato a Putin come due vecchi compagnoni per poi spiegare di averlo fatto per dimostrare che il dittatore russo è “umano” e che il dialogo con lui è non solo possibile, ma addirittura dovuto. Soprattutto da parte di un Occidente (che poi saremmo noi) pieno di scheletri nell’armadio e che sarebbe il vero responsabile di tutte le guerre in corso. Ucraina compresa. Concetto esemplificato attraverso un gigantesco mural dipinto in precedenza dallo stesso Jorit su un palazzo di Mariupol che reca ancora ben visibili i segni lasciati dalle bombe. Bombe russe, direte voi ricordando l’interminabile martirio della città ucraina rasa al suolo dalle truppe di quel vero campione di “umanità” di Putin. Macché: bombe Nato! Già perché, sui missili che fioccano intorno alla bambina impaurita protagonista dell’opera, c’è scritto appunto “Nato”. E non è finita qui. Per realizzare quell’immortale affresco, infatti, il buon Jorit ha copiato pari pari e senza neppure chiederne l’autorizzazione la foto scattata alla propria figlia da una famosa fotografa australiana, Helen Whittle. La quale, scoperto il clamoroso plagio, sta ora pensando di agire per vie legali mentre Jorit manco si è scusato. Forse perché troppo occupato a rispondere a chi, visto che là ormai lui è di casa, lo ha sollecitato a realizzare a Mosca un mural in memoria di Navalny o di Anna Politkovskaja. Per lo street artist napoletano, nient’altro che un invito strumentale e in malafede, frutto della solita propaganda occidentale. Da che pulpito! Lo stesso, per cambiare scena ma non argomento, di cui l’8 marzo a Firenze si sono servite alcune attiviste di “Non una di meno” per scacciare dal corteo per la Festa della donna una ragazza presentatasi con un cartello di protesta contro gli stupri di Hamas.
«Ma che è sto schifo? Sei venuta qui per provocare. Basta vai via, oppure togliti questo cartello!», le hanno urlato in faccia finché la malcapitata non ha battuto in ritirata mentre loro proseguivano la marcia in un tripudio di bandiere palestinesi e di slogan pro-Gaza. Nelle stesse ore e sempre a proposito degli abusi di Hamas, i cronisti al seguito dei cortei dell’8 marzo a Roma e Milano raccoglievano commenti, tipo: «Non ci possiamo fidare di tutti i dati che arrivano. Noi ci fidiamo solo dei dati che arrivano dalle donne palestinesi», oppure «Se come popolo ti senti oppresso, anche come uomo ti senti legittimato a compiere le peggiori cose alle donne dell’altro popolo», fino a un agghiacciante: «Le israeliane se la sono cercata».
Davvero niente male per una giornata consacrata alla lotta contro la “violenza di genere”. Ma siccome siamo finiti inevitabilmente a parlare di Israele, ecco un’altra “perla” da incorniciare. Mi riferisco alla prima opera d’arte distrutta (e non semplicemente oltraggiata) da quando i commandos del “politicamente corretto” hanno cominciato a colpire anche in Europa. Si tratta di un quadro raffigurante Lord Balfour esposto al Trinity College di Cambridge e fatto letteralmente a pezzi dagli attivisti di “Palestine Action” che, dopo avere ricoperto direttamente la tela di spray rosso, l’hanno squarciata in più punti con un taglierino. Chi era Lord Balfour? Per gli autori dello scempio, un autentico criminale avendo egli, come Primo ministro della Corona britannica, firmato nel 1917 la dichiarazione con cui il governo di Sua Maestà affermava di guardare con favore alla creazione di una «dimora nazionale per il popolo ebraico» in Palestina. Peccato solo che la medesima lettera precisasse che ciò sarebbe dovuto avvenire senza ledere i diritti delle altre comunità presenti in Palestina. Dunque, oltre che vandali, anche ignoranti! Cosa che, tenuto conto dell’età dei “giustizieri” di Lord Balfour (tutti poco più che ragazzini) e del luogo del loro misfatto (un ateneo fra i più prestigiosi al mondo), chiama direttamente in causa il ruolo degli insegnanti e degli educatori in genere. Al che, il pensiero corre subito a quella professoressa della Università La Sapienza di Roma e al suo (vogliamo essere indulgenti?) sconcertante “elogio” pubblico in morte della terrorista delle Br Barbara Balzerani scomparsa di recente. Anche se poi rimosso, vale la pena di rileggere quanto scritto dalla professoressa Donatella Di Cesare: «La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Un addio alla compagna Luna con malinconia». Questo, riferito a una terrorista pluriassassina (non sono io a dirlo ma i tribunali che l’hanno condannata per avere partecipato fra l’altro all’agguato di via Fani e alla strage della scorta di Aldo Moro) e per di più mai pentita. Una delle sue vittime fu l’economista Ezio Tarantelli, trucidato nella stessa università dove oggi insegna la professoressa Di Cesare. Ed è sempre alla Sapienza di Roma – ma guarda un po’ la combinazione! – che giorni fa al giornalista e conduttore David Parenzo è stato impedito di parlare al delirante grido di «sei un fascista amico degli ebrei». Per brevità, mi fermo qui. Ma ciò che affiora da tutti questi fatti – ripeto solo in apparenza “minori” – è un disprezzo sempre più aperto e diffuso per la democrazia e per le sue regole. In una parola, per l’Occidente. Tutto questo – qui sta il vero punto! – a casa nostra. Si parla tanto di bandiere bianche. Ma non è che, mentre in posti come l’Ucraina e l’Iran si combatte e si muore in nome della libertà e della democrazia, quelli che hanno già alzato bandiera bianca siamo proprio noi?