sanità
Medici e infermieri nel mirino: aggressioni in aumento
C'è chi, in preda alla rabbia, smura un lavandino prima di lanciarlo contro chi gli capita a tiro. C'è il tossico che in crisi d'astinenza scaglia un letto a rotelle, pesantissimo, contro medici e infermieri. C'è chi se la prende con gli estintori (anche questi lanciati, per far male, in mezzo ai pazienti e ai camici bianchi), poi ci sono i calci, i pugni, gli schiaffi, i graffi, gli spintoni e le strattonate sempre più frequenti, sempre più violente ai danni di chi dovrebbe preoccuparsi solo di curare chi sta male e non di difendersi dalle esplosioni di una furia incontrollata. Visto che corsie e ambulatori non sono più sicuri, c'è chi corre ai ripari. «Dalla primavera verrà attivato una postazione della polizia di Stato all'interno del pronto soccorso», anticipa Giuseppe Munacò, responsabile del servizio prevenzione e protezione dell'ospedale.
Intanto, i dati raccolti dall'Azienda ospedaliero universitaria e dall'Azienda Usl confermano i sospetti: l'aggressività dei pazienti e dei loro familiari o amici è in forte crescita. Dal 2017 ad oggi per l'Ausl è più che raddoppiata, passando da 6 a 14 infortuni causati da «atti di violenza», cioè da aggressioni fisiche al personale, sia questo medico, infermieristico o impiegatizio. La situazione peggiore se si guardano i numeri dell'ospedale, con le aggressioni che sono quasi quintuplicate: nel 2017 erano 5, l'anno scorso sono salite a 23 e nel 2022 a 26. Tante, troppe. E dal conteggio restano fuori gli insulti, le minacce, le parolacce e perfino gli sputi. «Per le aggressioni verbali, prenda il dato delle aggressioni fisiche e lo moltiplichi per dieci». Il calcolo lo suggerisce Stefano Moretti, responsabile del servizio Prevenzione e protezione aziendale dell'Ausl.
La situazione a livello nazionale, purtroppo, conferma un aumento costante nel corso degli anni dell'insofferenza, della rabbia e della violenza contro gli operatori sanitari, come dimostrano i numeri diffusi martedì dal ministero della Salute in occasione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza in Sanità.
Tra vigilantes e divise
La prima linea dell'ospedale è il pronto soccorso. «È il punto più critico, perché è una sorta di imbuto da cui passa un'utenza in alcuni casi particolarmente aggressiva». Aggressiva quanto? «Ogni fine settimana, tra la sera e la notte, abbiamo almeno un evento di una certa gravità», ammette Munacò. Da qui la decisione di «raddoppiare la vigilanza armata nelle fascia serale, dalle 21 al mattino successivo». E pensare che fino a un paio di anni fa il vigilantes era disarmato. Poi la situazione è peggiorata a tal punto da richiedere anche la presenza costante delle divise. «In primavera si insedierà (o meglio, tornerà, ndr) dentro al pronto soccorso una postazione fissa di polizia. L'obiettivo è il miglioramento della tempestività di intervento, soprattutto nelle fasce orarie notturne e festive». Ma le zone calde non si fermano al pronto soccorso. Ci sono anche la pediatria, ostetricia, gli ambulatori di ortopedia, oculistica, geriatria, il front office, i parcheggi e anche gli spogliatoi. «Mattina e sera abbiamo garantito pattugliamenti nei parcheggi», aggiunge Munacò che ricorda «i 40 pulsanti antipanico» sparsi per l'ospedale oltre ai corsi di formazione e alle consulenze con lo psicologo per prevenire e curare i casi di aggressione.
Come difendersi
«Per prevenire le aggressioni abbiamo anche cambiato la disposizione dei mobili negli ambulatori. Ad esempio, il medico e l'infermiere deve avere una via di fuga senza ostacoli e più breve rispetto al potenziale aggressore», ricorda Moretti dell'Ausl, che parla anche dei videocitofoni per vedere chi si presenta nei vari ambulatori, più altri accorgimenti. «Come togliere dal tavolo matite o altri oggetti che possono offendere. Evitare di mettere, da parte degli operatori sanitari, le forbici nel taschino del camice». Anche queste possono essere usate contro i medici e gli infermieri. E poi ci sono le norme di comportamento, ripetute nei vari corsi di formazione. «Ai nostri operatori viene insegnato un atteggiamento più empatico verso i pazienti». Tipo, tenere il tono della voce basso, non parlare sopra a chi si sta lamentando, non fissarlo negli occhi o non dargli le spalle. Detto questo, resta il perché di tutta questa rabbia. «Sì, le aggressioni sono troppe. Di sicuro è cambiato il contesto sociale. Poi la sanità è in sofferenza. C'è una contrazione dell'offerta a fronte di una crescita costante dei bisogni di cura». E pensare che al tempo del Covid girava lo slogan «andrà tutto bene».
Pierluigi Dallapina