«L'ELISIR D'AMORE»
ll regista Menghini: «Così ho coinvolto i burattinai Ferrari»
Il punto di vista è quello di Nemorino, burattinaio improvvisato che «non avendo trovato un suo posto nel mondo, crea un suo mondo di legno». È questo il punto focale del nuovo allestimento firmato da Daniele Menghini de «L’Elisir d’amore» di Gaetano Donizetti, al debutto al Teatro Regio di Parma stasera alle 20. Lo racconta il regista che ha coinvolto anche i Burattini dei Ferrari per realizzare la sua idea, con le scene realizzate da Davide Signorini, i costumi di Nika Campisi e le luci di Gianni Bertoli.
In scena Nina Minasyan (Adina), Francesco Meli (Nemorino), Roberto de Candia (Dulcamara), Lodovico Filippo Ravizza (Belcore) e Yulia Tkachenko (Giannetta). Sesto Quatrini dirige l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna e il Coro del Teatro Regio di Parma, maestro del coro Martino Faggiani.
Qual è il punto di equilibrio tra il carattere buffo dell’opera e l’elemento patetico?
«In una drammaturgia che guarda molto a Rossini si spalanca l’abisso di “Una furtiva lacrima” e bisogna sondarlo. Questo baratro ci porta nell’animo del personaggio, che è la chiave di volta della regia: è tutta una grande soggettiva di Nemorino, uomo fragile, che si trova a fare i conti per la prima volta con l’amore. Il punto di equilibrio poggia sulla dialettica tra tradizione e innovazione, laddove il patetico è la frattura di un uomo contemporaneo con tutta la sua umanità che si confronta con un mondo di maschere».
Cosa le ha fatto venire l’idea di inserire il teatro di figura in quest’opera lirica?
«Mi sono chiesto come raccontare la dicotomia tra sincerità e parodia. Da un lato c’è un uomo schietto, dall’altro lato ci sono personaggi eccessivi, vere e proprie maschere, vicine alla commedia dell’arte. Mentre riflettevo su questa doppia natura, ho pensato che se Nemorino è l’unico umano gli altri devono essere non umani. Conoscevo già la famiglia dei Ferrari e il Castello dei Burattini. Parlando con loro ho anche scoperto che Italo Ferrari, che ha dato il via a quest’arte, ha molti punti in comune con Nemorino: apparteneva a una famiglia di contadini, era innamorato di una donna della media borghesia di Parma e, lasciando il suo lavoro da ciabattino, mise in scena il suo primo spettacolo in una stalla. Ho pensato che fosse bello che un’eccellenza di Parma salisse sul palcoscenico del Teatro Regio di Parma per “Elisir”».
La sua esperienza nel teatro musicale e nel teatro d’opera passa attraverso collaborazioni con Robert Wilson, Davide Livermore, Graham Vick… cosa ha tratto dal loro esempio?
«Per me la folgorazione è stata l’incontro con Vick: ho lavorato come suo assistente per l’ultimo anno della sua attività. Ho incontrato un maestro, un grande uomo di teatro ancorato all’etica e alla domanda eterna del “perché fare un’opera”. Che dialogo aprire col pubblico, come fare i conti con il materiale, che ponte creare tra questo materiale e il pubblico di oggi… tutte domande che come regista ti devi porre. Lui ha acceso questa luce, ha innescato questo approccio. Anche “L’elisir d’amore” tende a questo tipo di indagine. Fare i conti con la drammaturgia significa capire attorno a cosa riflettiamo. La fragilità di Nemorino che non sa come si ama ci appartiene. Se il pubblico riuscirà a riconoscere qualcosa di sé nel suo viaggio, avremo dato senso a questa operazione».
Per informazioni e biglietti: tel. 0521 203999, biglietteria@teatroregioparma.it.
Lucia Brighenti