MALTRATTAMENTI
«Esci con le tue amiche? Fammi vedere se l'intimo è sexy»: condannato l'ex compagno «censore»
Un esame approfondito da superare prima di uscire in compagnia delle amiche. Ed era lui, il compagno e padre dei suoi due figli, il «censore» che visionava la sua biancheria intima per valutare quanto fossero sexy. Un controllo ossessivo di ogni scelta di vita di Anna (la chiameremo così), condito spesso da pesanti insulti e alcune volte da violenze fisiche davanti ai figli piccoli: sputi in faccia, una testata e le mani al collo. E tuttora, nonostante il rapporto sia finito nel 2019, lui continuerebbe ad ad assillarla con messaggi infarciti di minacce. Accusato di maltrattamenti aggravati, perché commessi anche davanti ai bambini minorenni, il compagno - 45enne, originario di Modena - è stato condannato a 2 anni, un anno e 2 mesi in meno rispetto alla richiesta del pm Ignazio Vallario. Il collegio, presieduto da Alessandro Conti, gli ha concesso le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante, oltre alla sospensione della pena. A patto che il 45enne intraprenda un percorso di recupero della durata di un anno in un centro per uomini maltrattanti. Ad Anna, che si era costituita parte civile, assistita dall'avvocato Aniello Schettino, è stata riconosciuta una provvisionale immediatamente esecutiva di 2.000 euro, in attesa del risarcimento da stabilire in sede civile.
Due figli, una vita serena, almeno all'apparenza, e senza alcuna preoccupazione economica: la famiglia si presentava così. E per alcuni anni i conflitti sono rimasti sotto traccia. Ma poi quella volontà ossessiva di controllo sarebbe diventata sempre più evidente. La gonna indossata quando Anna usciva con le amiche? Un segnale lanciato agli uomini. «Vuoi andarci a letto?», le domandava con arroganza, facendole anche notare che quando andava fuori con lui metteva i jeans.
Gli insulti, poi, erano diventati quasi all'ordine del giorno. Lui stesso, davanti ai giudici, ha ammesso di lasciarsi spesso andare agli improperi giustificandosi però così: «Quando mi parte l'embolo, non riesco a trattenermi». Ma proprio perché l'insulto era diventato «un intercalare», ha spiegato Giovanni Tarquini, uno dei suoi difensori, non potrebbe essere considerato una forma di maltrattamento. Così come le accuse si baserebbero solo sul racconto dell'ex compagna, senza alcun tipo di riscontro.
Ma le parole di Anna sono state credute, nonostante a lui siano state riconosciute le attenuanti generiche prevalenti. Si era presa una testata durante una vacanza in una stanza d'albergo in cui erano presenti anche i bambini. Che avrebbero assistito spesso anche ai litigi in casa o al ristorante. «La p... a è tornata», avevano sentito urlare dal padre quando Anna era rientrata dopo una breve vacanza.
Ma, per lui, era lei l'«aguzzina», la compagna che aveva un'amante e a volte lo picchiava, arrivando anche a rincorrerlo in casa per dargli una bastonata.
Eppure, i messaggi minacciosi di lui sono proseguiti anche durante il processo. «Ti rovino, ti sego le gambe, se ti vedo in giro con tuo padre, vi tiro sotto», le ha scritto. Sempre presente. Una minaccia incombente. Fino all'altro ieri, alla vigilia della sentenza, quando Anna ha contato 16 suoi messaggi.
Georgia Azzali