La storia

Andrea e Manuel Cannavaro sulle orme dei papà: «Noi, cugini per la pelle e con tanta voglia di imparare»

Vittorio Rotolo

Estate 1999: il Parma preleva dal Napoli il giovane Paolo Cannavaro, difensore come il fratello Fabio, che della squadra gialloblu e della Nazionale azzurra è ormai un punto fermo.

Inizio 2024: la storia, in qualche modo, si ripete. Ancora due Cannavaro nella stessa squadra, al Real Casalnuovo, formazione campana che affronta il campionato di serie D. A raggiungere Andrea, difensore come papà Fabio, classe 2004, è Manuel, che a differenza di papà Paolo gioca a centrocampo ed è nato nel 2002. «A Napoli» fa notare con un malcelato senso di appartenenza. E quasi con la medesima espressione ricolma di orgoglio, aggiunge subito: «Però i miei primi anni di vita li ho trascorsi a Parma, dove appunto giocava papà. Non ho molti ricordi diretti, tuttavia ogni tanto in famiglia capita di riguardare qualche video di quando ero piccolo. È davvero bello rivederci, felici, per le strade di Parma. In questa città mi è capitato di tornare qualche volta in visita, quando giocavo a Sassuolo».

Andrea e Manuel Cannavaro sono due ragazzi come tanti altri della loro età: niente grilli per la testa, sorridenti, disponibili. Due che il calcio lo abbracciano da sempre con l'umiltà di chi non conosce o va a caccia di scorciatoie, affidandosi piuttosto al proprio talento. Del resto, buon sangue non mente.

E poi sono legatissimi tra loro, Andrea e Manuel. «Siamo cugini. Ma in realtà, per il rapporto che abbiamo costruito nel tempo, è come fossimo fratelli» interviene Andrea.

Chissà quanta gioia, allora, nel condividere per la prima volta anche un'esperienza calcistica.
Manuel: «Avere un familiare all'interno della stessa squadra ti permette di assaporare e condividere momenti diversi da quelli che, abitualmente, vivi a casa. Poi è anche vero che in campo tutto cambia, soprattutto quando nelle partitelle di allenamento capita di ritrovarsi l'uno contro l'altro...».

Andrea, tocca a lei: come sta vivendo questa esperienza con i grandi, dopo tanti campionati giovanili?
«È stato un bel salto: ti confronti quotidianamente con giocatori di esperienza. Cominci a guardare le cose da un'altra prospettiva: il calcio diventa sempre meno un gioco e più un lavoro. Al Real Casalnuovo, nel mio ruolo, ho due compagni come Sosa e Pezzi che hanno militato in categorie superiori: sono i primi a dare consigli, a stimolare continuamente i giovani. Noi abbiamo il dovere di lasciarci guidare, cercando di assorbire quanto più possibile».

Sul piano tecnico quali sono le vostre caratteristiche?
Manuel: «Sono il classico centrocampista dotato di fisicità. Uso indifferentemente entrambi i piedi, sia il destro che il sinistro. Cerco di non forzare mai la giocata, ma mi piace far felice il compagno di squadra. Magari con un assist. Il mio modello calcistico? Ne ho due in famiglia, anche se facevano un ruolo diverso dal mio. Ma mi ispiro a Modric».

Andrea: «Fisico, atleticità, stacco di testa, marcatura sull'uomo gli aspetti sui quali faccio maggiormente affidamento, pur consapevole di avere ancora tantissimo da imparare. Papà un buon esempio? Sì, senza dubbio. Ma fisicamente siamo diversi: l'altezza, ad esempio, l'ho presa tutta da zio Paolo (ride, ndr)».

Quanto può essere ingombrante il cognome Cannavaro, per due giovani che inseguono i propri sogni correndo dietro un pallone?
Manuel: «Dipende da come la vivi. Io e Andrea siamo molto fortunati, perché i nostri papà non hanno mai condizionato le nostre scelte. E men che meno hanno fatto “pesare” i loro successi. La responsabilità la senti, non lo si può negare. In Italia, poi, si fa molta fatica a concedere più di una possibilità a un giovane: il margine di errore è ridottissimo e se ti chiami Cannavaro, a maggior ragione, le aspettative sul tuo conto sono elevate. Il cognome non conta, prevale il merito. Se uno è all'altezza di restare in un posto, bene. Diversamente, con intelligenza, deve riconoscere e accettare i propri limiti».

Andrea: «Manuel, questo discorso del cognome “pesante” da portare sulle spalle, lo ha vissuto prima di me. Condivido il suo pensiero. Mio papà è sempre stato distaccato, rispetto alla mia carriera da calciatore. Mi ha sempre detto di seguire la mia strada, di imparare le mie cose, senza mai mettermi pressione addosso: è l'esempio migliore che potesse darmi. Di calcio parliamo il giusto: se però ho bisogno di un consiglio, so che lui per me c'è sempre. È la cosa che più conta».

Andrea, suo cugino Manuel un po' di aria di Parma l'ha respirata. Lei invece è nato che papà Fabio giocava altrove.
«Però le assicuro che rivedo spesso i video di quando lui indossava la maglia gialloblu. Con quel capello lungo...».

Guardandola, siete molto simili nel look.
«Vero, ce lo dicono in tanti. Lui ha sempre considerato Parma una tappa molto importante per ciò che è arrivato dopo: i primi trofei li ha vinti con questo club».

Manuel, possiamo dire lo stesso anche di suo padre, tra gli eroi di un'epica salvezza conquistata nello spareggio di Bologna.
«Esatto, anche per lui Parma è stato un periodo assai formativo. È una piazza che ama il calcio, che ha un legame viscerale con la squadra. Adesso con Pecchia sta facendo un grandissimo campionato: non era scontato, visto il livello delle altre pretendenti alla promozione. Ma il Parma merita di stare in alto».

Vittorio Rotolo