Intervista
Paola Donati: «A Teatro Due la carezza di “Wit” in prima nazionale»
La vita e la morte, la malattia e il dolore, la “pietas” carezza necessaria quanto la poesia, il rispetto dei corpi e i limiti etici della ricerca. Insomma, il senso del nostro vagare in un testo spietato ma con “humor”.
Densa e profonda è la materia di «Wit». Il termine, nella lingua inglese, indica un motto di spirito, l'umorismo. Non esiste un esatto corrispettivo in italiano. «Wit» è il titolo della pièce dell'americana Margaret Edson, 62 anni (premio Pulitzer nel 1999 proprio per questo testo) che debutterà in prima nazionale martedì al Teatro Due di Parma, con repliche fino al 30 aprile.
L'attrice Valentina Banci sarà la protagonista: la professoressa Vivian Bearing grande studiosa delle poesie di John Donne (sì, quello di «nessun uomo è un'isola»), che un giorno scopre di essere gravemente malata.
Nel cast Dario Aita, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Salvo Pappalardo, Massimiliano Sbarsi. La messa in scena è a cura di Paola Donati, direttrice di Teatro Due.
Paola Donati perché non «regia» ma «a cura di»?
«Perché una regia prevede una visionarietà, un'invenzione; qua invece c'è una coincidenza con il testo di Margaret Edson che è molto sapiente dal punto di vista della conoscenza dei meccanismi teatrali e di quello che il teatro, come esperienza, può mettere in campo rispetto all'immaginario degli spettatori. Allora, in questa coincidenza, in cui la protagonista Vivian “convoca” il teatro per ripercorrere la sua parabola esistenziale nel momento in cui le viene diagnosticato un cancro e prende a prestito tutte le possibilità di spostamento dei tempi, di mescolare il ricordo con il racconto del presente, ecco che il lavoro di regia è complesso nella sua necessaria semplicità e gli attori devono mantenersi in un alveo che è sempre, contemporaneamente, di funzione e di personaggio. Quindi mi sento di dire che il mio è un lavoro di conduzione in quell'alveo lì».
Edson dichiara il “codice” della narrazione fin dall'inizio.
«Sì, dichiara subito il suo gioco e lo sa condurre con grandissima “leggerezza”, con lo “humor” del titolo. Vivian è una studiosa di John Donne, uno dei massimi e più contraddittori esponenti dello “wit”. Ma questa qualità Vivian non l'ha immessa nella propria esistenza. Si è concentrata esclusivamente sullo studio. E cosa succede che nel momento in cui si ammala lei che ha passato tutta la vita ad approfondire in maniera critica, intellettuale, i concetti della vita e della morte dei Sonetti Sacri di Donne? Nel momento in cui entra in ospedale, è obbligata ad avere delle relazioni con i medici, in particolare con un giovane medico che è stato anche suo studente. Si ribaltano i ruoli; il corpo di Vivian diventa un oggetto da scandagliare, da studiare, un po' quello che lei ha fatto per tutta la vita con le poesie. Ma le poesie sono inerti, un corpo umano comprende tutto. Non c'è mai un rimpianto ma una sorta di lenta e dolorosissima appropriazione della consapevolezza di sé attraverso la relazione mancata con gli altri».
Ci sono altre due importanti figure femminili.
«Una è l'insegnante di Vivian, la professoressa Ashford che a un certo punto le appare nella memoria. L'altra è l'infermiera Susie, è una figura che per me incarna la necessità della carezza della “pietas” e in un qualche modo la sacralità della relazione umana».
Come ha scelto il cast?
«Tre interpreti appartengono all'ensemble stabile di Teatro Due e sono Cristina Cattelani nei panni dell'anziana insegnante, Laura Cleri è l'infermiera Susie, Massimiliano Sbarsi è il primario di oncologia ma anche il padre. Poi ci sono Dario Aita, bravissimo attore di teatro e di numerose serie; Salvo Pappalardo, che si è formato qui al Due, interpreta lo studente. Quanto a Valentina Banci, già vista in “Top Girls”, potrei dire che è una bravissima attrice ma non significa nulla. L'ho scelta perché ha una “grazia”, un vero dono».