La storia del Parma in A
Parma - Milano: i destini incrociati con Inter e Milan
Adesso che il Parma è tornato in serie A, dopo tre anni di purgatorio, con la speranza che si tratti di collocazione stabile (e definitiva), bisognerà ammettere che il calcio italiano ha un debito di riconoscenza nei confronti del club gialloblù, capace di scrivere pagine importanti nella storia del pallone. E lo ha soprattutto Milano, la città dei 39 scudetti, delle 10 Coppe dei campioni (sette il Milan, tre l’Inter), delle 7 Coppe Intercontinentali (quattro rossonere e tre nerazzurre). Se un grande milanista come Cesare Maldini aveva firmato la promozione in B, allo spareggio di Vicenza con la Triestina nel 1979, è persino troppo facile ricordare quanto abbia inciso nella gloriosa vicenda del Milan berlusconiano Arrigo Sacchi, capace di stregare il Dottore, dopo che il Parma era riuscito a vincere due volte nella stessa stagione, in Coppa Italia, a San Siro, prima nel girone eliminatorio (1-0 con il gol di Fontolan, 3 settembre 1986), poi nella gara di andata degli ottavi (sempre 1-0, gol di Bortolazzi, 25 febbraio 1987).
Un segno non meno profondo lo ha lasciato Carlo Ancelotti, interista mancato, da giocatore, nel 1979: lo voleva a tutti i costi Sandro Mazzola, allora consigliere delegato nerazzurro, ma il presidente Ivanoe Fraizzoli aveva esitato «perché prima di spendere i soldi bisogna guardare bene i conti» e così il giocatore era finito alla Roma, su fortissima pressione di Nils Liedholm.
Ancelotti al Milan è finito davvero, insieme con Sacchi, nella stessa estate del 1987 ed è risultato fondamentale nella costruzione della squadra che avrebbe vinto tutto, ma ancora più pesante è stato il suo contributo come allenatore dal novembre 2001, dopo l’esonero di Fatih Terim al giugno 2009, una carriera illustrata da cinque trofei internazionali (comprese due Champions League contro Juve e Liverpool in finale) e tre titoli nazionali tutti nel 2004 (scudetto, Coppa Italia e Supercoppa). Ancelotti era stata la grande tentazione di Massimo Moratti, quando, dopo aver preso l’Inter, nella primavera 1995 era incerto se confermare come allenatore Ottavio Bianchi oppure puntare su un nuovo tecnico. E Ancelotti era stato vivamente consigliato da Paolo Taveggia, allora dirigente nerazzurro, dopo la lunga militanza in rossonero, che aveva caldeggiato l’assunzione di quello che allora era il vice di Arrigo Sacchi nella nazionale, seconda al Mondiale americano.
Così re Carlo (ancora senza corona) era andato alla Reggiana, prima di approdare a Parma nel biennio 1996-1998.
Anche se adesso è caduto in disgrazia, perché in Italia o vinci o sei un incapace (la famosa teoria dell’ex allenatore Guido Mazzetti, «chi vince è un bravo ragazzo, chi perde una testa di…»), l’ultimo scudetto milanista, che risale al 22 maggio 2022 e non al secolo scorso, porta la firma di Stefano Pioli, che a Parma è nato, si è affermato come giocatore, prima di andare alla Juve e si è pure seduto in panchina. Il giudizio sull’allenatore è libero, ma di certo, come ricorda sempre il suo ex compagno di camera Aldo Serena, «Pioli non ha mai perso la signorilità tipica della città di Parma, almeno per come ho conosciuto io la città e i suoi abitanti».
Ci sono poi tanti incroci storici tra Parma e Milano. Nessuno può dimenticare quanto ha fatto (e vinto) Nevio Scala, l’uomo della promozione in A, anno 1990 e dei primi trofei: la Coppa Italia del 1992 contro la Juventus di Trapattoni, la Coppa delle coppe di Wembley contro l’Anversa nel 1993 e la Supercoppa europea sempre del 1993 (ma giocata il 12 gennaio e il 2 febbraio 1994, con il 2-0 di San Siro ai supplementari, dopo lo 0-1 di Parma), la Coppa Uefa del 1995 contro la prima Juve di Lippi, trofeo conquistato nella finale di ritorno ancora a San Siro.
Scala resta uno dei (pochi) giocatori che hanno vestito la maglia di Inter (1973-1975) e Milan (1975-1976) e dai maestri che ha avuto (Herrera di ritorno in nerazzurro e il primo Trapattoni) qualcosa deve aver imparato.
Molto si parla in queste giornate a tinte nerazzurre di Marcus Thuram, campione d’italia alla prima stagione nel nostro calcio, ma il ragazzo di passaporto francese, è sì figlio di Lilian, ma è nato a Parma, quando il padre era un uomo fondamentale nella squadra guidata da Ancelotti. A Parma, dall’estate 2002 al gennaio 2004, si è consolidato il talento di Adriano, mandato dall’Inter alla scuola di Claudio Cesare Prandelli, con risultati forse superiori alle aspettative: con Adrian Mutu, altro ex interista, aveva formato nel loro primo campionato in gialloblù la coppia più prolifica della A nella stagione, conclusa dalla qualificazione alla Coppa Uefa. Adriano era poi rientrato alla base in anticipo a metà campionato 2003-2004, causa il crac Parmalat e per questo riacquistato dall’Inter per 23 milioni di euro. Che poi sia stato proprio Adriano, su punizione, a battere il Parma il 9 maggio 2004, penultima giornata di campionato, a San Siro, togliendo alla squadra di Prandelli la possibilità di accedere ai preliminari di Champions League, fa parte dei contorti disegni tanto cari agli dei del pallone.
Di quel pomeriggio di venti anni fa, viene spesso ricordata la storia del rientro in campo, a partita finita, di tutto il Parma, Prandelli in testa, perché, come aveva spiegato un dirigente interista bussando alla porta dello spogliatoio gialloblù, «I vostri tifosi non se ne vogliono andare, se prima non andate sotto la curva». Un ritorno sul prato di San Siro per raccogliere un applauso interminabile che aveva lasciato il segno (e qualcuno si era pure commosso), perché in Italia una squadra sconfitta che viene applaudita rappresenta un caso più unico che raro. Chi era il dirigente interista? Lele Oriali, che dopo una vita in nerazzurro come calciatore, era passato da Parma nella stagione 1998-1999, come responsabile dell’area tecnica gialloblù. Una sola stagione, ma intensa con Alberto Malesani in panchina e l’accoppiata Coppa Uefa (3-0 al Marsiglia) e Coppa Italia (sulla Fiorentina). La storia potrebbe andare avanti ancora, ma si rischierebbe di finire a parlare di Giuseppe Verdi, all’esame di ammissione per essere ammesso al Conservatorio di Milano (anno 1832) o ad Arturo Toscanini, chiamato a dirigere lo storico concerto per la riapertura del teatro alla Scala (11 maggio 1946). Meglio non esagerare.
Fabio Monti