Tragedia

Processo Sofia, nuovo autogol delle difese

Roberto Longoni

Stessa strategia, udienza dopo udienza. Scaricare la responsabilità della gestione dei bagni Texas di Marina di Pietrasanta su chi non c'è più, per sgravare invece le spalle dei vivi, ossia le sorelle Elisabetta e Simonetta Cafissi, titolari dello stabilimento che ha cambiato proprietà e nomi e dei rispettivi mariti e datori di lavoro, Giampiero Livi e Mario Assuero Marchi, imputati per omicidio colposo aggravato insieme con i bagnini Thomas Bianchi ed Emanuele Fulceri e con Enrico Lenzi, fornitore e installatore della piscina idromassaggio. Così, il più evocato in aula a Lucca continua a essere Edo Cafissi, il cui nome dal febbraio del 2022 è inciso su una lapide.

Si è spento 95enne, di certo una roccia d'uomo, patriarca vecchio stampo, ma a sua volta alle prese con il tempo e gli acciacchi: specie dal 2018, dopo che un grave incidente aveva compromesso la sua salute. «Era lui a comandare», hanno finora sostenuto le difese delle due figlie e dei generi al banco degli imputati per la morte di Sofia Bernkopf, annegata a 12 anni negli 80 centimetri d'acqua dell'idromassaggio dello stabilimento, i capelli risucchiati e avvinti nella bocchetta d'aspirazione dell'impianto. Da quella trappola fu strappata (letteralmente) esanime il 13 luglio 2019, e dopo quattro giorni d'agonia spirò all'Opa di Massa. Edoardo e Vanna Bernkopf acconsentirono all'espianto degli organi della figlia, ma solo le cornee poterono dare nuova luce. La salma della piccola doveva essere sottoposta ad autopsia, primo atto della lunga battaglia giudiziaria sulla tragedia infinita dei Bernkopf.

Ieri, gli avvocati di Livi hanno ribadito la loro tesi squadernando davanti al giudice Gianluca Massaro un contratto che doveva rappresentare una porzione di verità messa nero su bianco: in calce all'accordo con la Verisure, alla quale nel 2016 si affidava la realizzazione dell'impianto di videosorveglianza del Texas, figura appunto la firma del Signor Edo. Ma come asso nella manica appare spuntato: a precederlo ci sono passaggi che chiamerebbero in causa Livi. Il pm Salvatore Giannino e Stefano Grolla, l'avvocato che assiste i coniugi Bernkopf costituiti parti civili, hanno infatti indicato come a firmare la scheda del tecnico installatore di Verisure sia stato proprio l'imprenditore e non il patriarca. A ribadire il ruolo avuto da Livi è stato anche Fabio Falchi, collaboratore di Verisure: chiamato a testimoniare dalla difesa, ha ricordato come sia stato Livi ad accettare il preventivo della sua azienda (tra l'altro indagata per non aver salvato i filmati della tragedia, nonostante il sequestro disposto dagli inquirenti).

Solito canovaccio, quindi, e autogol bis, replica di quello dell'udienza del 6 maggio, quando Jessica Landucci, consulente del lavoro della Dante, la finanziaria dei Cafissi, e in un primo tempo teste della difesa, sotto giuramento aveva risposto di essersi «relazionata con tutti e quattro gli imputati, specie dopo l'incidente subito dal Signor Edo».

Prima di Falchi, hanno testimoniato Stefano Meoni e Fabio Coppini, dipendenti della Ecafil Best, di proprietà della finanziaria Dante, di cui Livi è amministratore unico. Pur sottolineando l'impegno dell'imputato nell'azienda per la quale lavorano, non hanno potuto escludere che l'imputato si occupasse anche del Texas. Coinvolgimento che risulterebbe invece dai Whattsap da lui spediti anche dall'estero e trovati nello smartphone posto sotto sequestro.

«Sono esterrefatto per come, a fronte della potenza esibita della famiglia Cafissi emersa anche nell’udienza di oggi (ieri per chi legge, ndr) dalle deposizioni dei dipendenti (oltre a quelle in patria Giampiero Livi dirige un’azienda in Romania con più di 200 addetti) gli imputati non abbiano mostrato alcun segno di partecipazione al nostro dolore - ha dichiarato a fine udienza Edoardo Bernkopf, come sempre presente in aula con la moglie Vanna - né di pentimento e riconoscimento delle proprie responsabilità, se non altro per alleggerire la loro posizione di imputati, che alla luce dell’andamento del processo, si rivela sempre più compromessa e anzi aggravata. Provo invece un certo dispiacere per la disavventura del giovane bagnino Thomas Bianchi, di cui ho riscontrato la sincera partecipazione, che dalla proprietà è stato mandato allo sbaraglio, e messo nell’impossibilità di far fronte alle gravi responsabilità in tema di sicurezza che uno strano rapporto di lavoro comunque gli affidava». Il 10 giugno la prossima udienza, con una nuova sfilata di testimoni delle difese.