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Il figlio di Aung San Suu Kyi ospite a Parma: «Su mia madre solo accuse false»
Sguardo fiero e deciso. È una persona di poche parole Kim Aris e, come ripete spesso, non ama particolarmente mostrare i suoi sentimenti. D’altronde, non si è mai potuto permettere di mostrarsi debole. A soli dodici anni, ha dovuto fare i conti con uno degli avvenimenti più innaturali: l’allontanamento da sua madre, Aung San Suu Kyi, simbolo della lotta per la democrazia in Birmania.
Premio Nobel per la pace nel 1991, la donna compirà 79 anni la settimana prossima e, ancora una volta, lo farà in una cella. Per riportare la democrazia e i diritti civili in Birmania ha rinunciato a tutto. Persino a vedere crescere suo figlio Kim Aris, che non ha mai voluto essere una figura pubblica né un leader politico. Da anni, però, ha deciso di lanciare un grido di aiuto al mondo e all’Italia, dove si trova in questi giorni, ospite a Parma dell’Associazione per l’amicizia Italia Birmania Giuseppe Malpeli e della sua rappresentante, Albertina Soliani, da sempre in prima linea per la libertà di questo Paese. «Viviamo insieme la situazione drammatica della Birmania - spiega Soliani - e lottiamo con loro per un futuro di pace, mentre stanno vivendo grandi sofferenze. Aver Kim qui con noi rende Aung San Suu Kyi presente, condividiamo la stessa fiducia nel futuro».
Nel 1988, Aung San Suu Kyi inizia la sua lotta politica per la democrazia della Birmania sotto il regime militare del generale Ne Win. La giunta risponde alle proteste pacifiche con la violenza, uccidendo centinaia di manifestanti. In questo clima di tensione, Aung San Suu Kyi fonda la National League for Democracy, il partito di opposizione ai militari. Nel 1989, viene arrestata per la prima volta e per quindici anni subisce incarcerazioni ripetute e arresti domiciliari. Finalmente, nel 2012, viene eletta in Parlamento, ma nel 2021, a seguito di un colpo di Stato militare, viene destituita e arrestata nuovamente. «Stavano indagando sulle finanze della giunta militare - racconta Kim Aris - ed erano preoccupati per i risultati di quell’indagine. Probabilmente è questa la ragione principale per cui è stata incarcerata ed è stato istigato il colpo di stato militare. Ci sono molte accuse contro di lei, ma sono tutte completamente false. Le sono stati dati 33 anni di prigione, ma poi la condanna è stata ridotta a 27 anni. Dovrebbe uscire a 105 anni». Dal momento dell’arresto vive in totale isolamento nel carcere più spietato della Birmania. Non le è permesso avere contatti con la famiglia ed è passato più di un anno da quando ha potuto vedere i suoi avvocati. «Sono trascorsi ormai tre anni e mezzo da quando l’ho vista l’ultima volta - prosegue il figlio minore di Aung San Suu Kyi -. Mi hanno riferito, però, che ha continui problemi di salute. Non può mangiare perché ha un’infezione alle gengive. Non credo che stia ricevendo le cure di cui ha bisogno e tutte le prove suggeriscono che le condizioni della prigione siano estremamente dure, per via soprattutto delle alte temperature che superano i cinquanta gradi». Dopo il golpe militare del 2021, la Birmania è caduta in un profondo stato di crisi. La popolazione civile si è ampiamente schierata contro il Governo militare, accusato di essere violento e antidemocratico. «È in atto una guerra civile completa - prosegue Aris -. I militari utilizzano qualsiasi pretesto per attaccare i propri civili. Decapitano le persone, le bruciano vive, torturano le persone per divertimento. Non riescono a mantenere il controllo del Paese, hanno perso oltre il 60% del territorio, che ora è in mano alla resistenza». Lo sguardo di Aris tradisce un filo di emozione solo quando si sofferma a pensare all’insegnamento trasmesso da sua madre. «È stata capace - commenta - di guidare la Birmania verso la democrazia e lo ha fatto attraverso proteste pacifiche. Penso che se le fosse stato permesso di continuare con il suo lavoro ci sarebbe stato molto meno spargimento di sangue. Come mi ha insegnato lei, la riconciliazione è l’unica via da seguire».
Il legame tra Parma e Aung San Suu Kyi è profondo e si è ulteriormente consolidato nel 2007 con il conferimento della cittadinanza onoraria. «È l’emblema di quanto le persone qui sostengano mia madre - conclude -. In generale, l’Italia ha fatto molto di più, rispetto al resto dell’Occidente, per sostenere ciò che sta accadendo in Birmania e quello che sta vivendo mia madre». Oggi verrà conferita la cittadinanza onoraria di Abbiategrasso ad Aung San Suu Kyi. A ritirare il riconoscimento sarà suo figlio, Kim Aris, nella speranza che la prossima volta possa essere proprio sua madre a ritornare in Italia da donna libera.
Laura Ruggiero