Editoriale
Per Starmer una strada in salita dopo il trionfo
I giornali di tutto il mondo titolano sul trionfo del partito laburista inglese, guidato da Keir Starmer, nelle elezioni politiche che si sono svolte giovedì. E, guardando al numero dei seggi guadagnati dal Labour, la percezione di una «landslide», una valanga, è assolutamente corretta. Il partito di Starmer, secondo gli ultimi conteggi ha 412 seggi: un bottino che gli garantirebbe una maggioranza schiacciante di almeno 170 seggi a Westminster. È il più grande vantaggio, in termini di seggi, dai tempi di Tony Blair, e più grande di quelli di Clement Attlee e Margaret Thatcher, i due primi ministri che hanno cambiato di più la Gran Bretagna nel secolo scorso.
Una vittoria di questo tipo, quindi, dovrebbe dare un mandato forte al leader vittorioso. E in effetti Starmer, che ha già ricevuto da re Carlo III l’incarico di formare il governo, è stato pieno di speranza e di voglia di trasformare il Paese dopo 14 anni di dominio dei Tories, cioè dei conservatori inglesi, nel suo discorso programmatico davanti alla porta del numero 10 di Downing Street. Starmer ha detto che è pronto a ricostruire «la Gran Bretagna mattone dopo mattone» e ha affermato che «Il Paese ha votato per il cambiamento, per il rinnovamento, per il ritorno della politica al servizio pubblico».
Il neopremier laburista ha affermato inoltre che intende mettere fine all’epoca delle «performance rumorose», riferendosi chiaramente ai governi conservatori degli ultimi 14 anni, e impegnarsi nell’unire il Paese.
Sir Keir ha poi detto che «molte» persone non saranno d’accordo sul fatto che la Gran Bretagna di oggi sarà migliore per i loro figli per poi aggiungere: «Il mio governo combatterà ogni giorno finché non ci crederanno di nuovo». Ha ribadito più volte il concetto di «lavorare al servizio» dei britannici e dei loro interessi e di un cambiamento che deve cominciare immediatamente. E ancora: «La politica può essere una forza positiva. Lo dimostreremo». Starmer ha affermato, inoltre, che per troppo tempo «abbiamo chiuso un occhio mentre milioni di persone scivolavano verso una maggiore insicurezza» e promesso che il suo esecutivo si occuperà finalmente di loro.
Però, oltre a questi discorsi pieni di speranza - senza molte promesse concrete e la nebulosità del programma è uno dei punti deboli del Labour di Starmer - e alla valanga di seggi conquistati ci sono altri numeri da valutare. E soprattutto un mood del Paese che non è quello del trionfo di Blair, dove il profumo della «cool Britannia» si respirava ovunque nel Paese.
Partiamo dai numeri. Il partito di Starmer, come detto, è a un soffio dal suo record storico, quello dei 418 seggi della super maggioranza conquistata da Tony Blair nel 1997; ma in termini di suffragi si è fermato poco oltre il 33%, non molto meglio del 32% raccolto nel 2019 nell'ambito della disfatta subita sotto la leadership di sinistra radicale di Jeremy Corbyn. E addirittura con una perdita di oltre mezzo milione di voti in cifra assoluta da allora (9,6 milioni contro 10,2), complice l'affluenza precipitata ai minimi dal 2005 sotto il 60% degli aventi diritto. A distanza persino siderale dal 40% e quasi 12,9 milioni di voti che nel 2017 erano valsi allo stesso Labour di Corbyn soltanto un «hung Parliament», con meno di 300 seggi.
La differenza, infatti, la ha fatta il sistema elettorale inglese che prevede che i partiti si sfidino collegio per collegio e dove si vince anche con un voto in più rispetto all’avversario senza possibilità di un doppio turno. In un sistema come questo un partito può essere premiato, pur senza un aumento di consensi spettacolare, se l’avversario di sempre implode. Ed è quello che è successo ai conservatori che sono precipitati in termini di consensi (-19,9%) e di seggi (solo 121).
Il simbolo di questa disfatta è Liz Truss, l’ex premier conservatrice che è durata lo spazio di un mattino prima dell’insediamento di Rishi Sunak, che non è stata rieletta nella sua circoscrizione. Un’umiliazione bruciante.
In più, a rendere più problematica la narrazione dell’onda rossa (anche se pallida, visto il moderatismo di Starmer), c’è il successo di Reform Uk, il partito di Nigel Farage che, pur avendo racimolato una manciata di seggi (4), ha raggiunto un impressionante 14,3% divenendo di fatto la terza forza politica del Regno Unito, anche se penalizzata come detto dagli effetti distorsivi del sistema elettorale inglese. Si tratta di un voto di rabbia, molto probabilmente riassorbibile nel breve termine, ma sicuramente non a favore di un ravvicinamento del Regno Unito all’Europa. Quindi Starmer difficilmente - e in verità non l’ha nemmeno promesso - cercherà di ricucire lo strappo della Brexit.
Come governerà quindi Starmer? La scelta di Rachel Reeves, economista molto classica e vicina alle posizioni più pro-business del Labour, come cancelliera dello Scacchiere (ministra de Tesoro) è il sintomo di un esecutivo che mette la barra al centro, tentando di rammendare il sistema del welfare, quasi distrutto da 14 anni di dominio conservatore e dalla crisi economica seguita a Brexit e pandemia, senza troppe aperture a politiche «tassa e spendi» che erano proprie dell’old labour prima di Blair. Insomma, come è nell’indole del personaggio che ha fatto dell’understatement la sua cifra, niente di particolarmente fiammeggiante. Ma a volte, per un Paese che esce indebolito da una lunga crisi economica e anche sociale, il brodino ricostituente - o la tazza di porridge, per usare una metafora più inglese - può essere la soluzione più indicata. Anche se, poi, un minimo di visione e di progetto politico a lungo termine bisognerà pur averlo. E questa è la via stretta su cui da ieri si è incamminato Starmer.