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Migranti, da Martorano alla Coppa d'Africa ducale
«Dal tono di voce forse si capisce, no?». Sì, si capisce tutto: entusiasmo, coinvolgimento, divertente stupore e a tratti commozione mentre parla dei “suoi” ragazzi, dei loro giovanissimi anni difficili, dei sorrisi infiniti ritrovati sul campo di pallone.
La storia che srotola Fabrizio Pinna, allenatore della squadra Juniores dell'Asd San Leo e responsabile Inclusione e sociale della società sportiva - «in realtà solo un genitore prestato al calcio per amore del figlio...» - è una di quelle buone notizie che vorremmo raccontare tutti i giorni.
Parte ovviamente dal San Leonardo, fa tappa al Centro temporaneo per migranti di Martorano - tante tappe per la verità -, e continua al centro sportivo “Athos Sassi”, dove lunedì sera si è dato il fischio d'inizio al primo torneo Coppa d'Africa di Parma. Sei squadre a sfidarsi: Burkina Faso, Guinea, Senegal, Gambia, Camerun e le miste Africa United (“allenata” da Ciac Onlus) e Africa Victory, che si è formata al Centro di Martorano. Era riservato agli under 25, «ma poi come si faceva a dire di no a quel 43enne che arrivava da Martorano e ci ha chiesto di poter giocare? - chiede Pinna - Ha fatto una rovesciata in campo e tutti sono impazziti: già lui mi ha illuminato la serata».
La vincitrice sarà decretata domenica prossima ma è il contorno che conta «perché il calcio è una scusa per essere comunità, stare insieme e restituire qualcosa a dei ragazzi così giovani che si portano addosso storie di migrazione difficili. Quando li vedo che giocano e ridono, io sono felice».
Come tutte le belle storie, è fatta soprattutto di persone incontri: «È nato tutto grazie a Stefania Pelosio: questa è la grande opportunità che lei ci ha dato e mi ha dato». Pelosio, una delle mamme legate alla società, è volontaria della Protezione Civile, che da quasi un anno ha in gestione il Centro temporaneo migranti di Martorano. In autunno si è presa cura anche del desiderio di giocare a calcio di Moustafa, uno dei minori stranieri non accompagnati presenti nell'hub. «E per fortuna l’ha mandato a noi: è un ragazzo di una simpatia e di una educazione incredibili e pure molto bravo. Con lui si è aperta la strada».
Quando Moustafa a dicembre è stato trasferito in un'altra città, salutato con una targa ricordo dalla San Leo, ha chiesto che questa opportunità venisse data al suo grandissimo amico Dauda, 16 anni. «Dopo la visita medica l'abbiamo preso e quando anche gli altri minorenni di Martorano hanno capito che da noi si poteva giocare si sono presentati in tre o quattro», sorride al telefono Pinna. Che prima della visita con Stefania Pelosio non sapeva «manco dove fosse, Martorano» e poi ha scoperto tutte le scorciatoie.
«Per sei mesi ho fatto avanti e indietro con la mia auto per portare agli allenamenti i nuovi tesserati. Non volevo che percorressero una strada così pericolosa, nemmeno per quei per tre chilometri che li avrebbero portati fino alla fermata del bus - racconta -. E questi ragazzi ci hanno dato una grande soddisfazione: tutti educatissimi, di una grandissima cortesia e motivazione e che io ho sempre spinto a studiare. Abbiamo stretto un rapporto bellissimo: in famiglia c'era qualcuno quasi geloso ormai..».
Anche se al di là della cornetta, si sente che gli occhi gli brillano quando ripensa a quegli «episodi meraviglioso che ho vissuto. Come quel ragazzo che è riuscito finalmente a parlare con la sua mamma: con tanti sacrifici aveva messo da parte i soldi per comprare un telefono e mandarglielo attraverso un amico, con chissà quali peripezie. L'ho sgridato: avrei voluto poterlo aiutare io e dargli subito la sicurezza che sarebbe arrivato a destinazione». O quel giovane che dopo tanto sostegno ricevuto, voleva offrire una cena a lui e «alla sua sposa». A cena ci sono andati, ma non l'hanno lasciato pagare: «Sono io che sono diventato molto più ricco da questa esperienza. E non perché sia buono. Anzi, so essere anche cattivo. Ma questi ragazzi sono il nostro futuro, è un investimento. E il calcio è davvero democratico, in campo siamo tutti uguali».
L'autodefinizione che gli piace di più però è “matto”.
Oltre ai quattro di Martorano, ne hanno presi in squadra anche due del Progetto Baloo e due della comunità per minori La Casa sull'Albero, e via via la San Leo è diventata - insieme a La Paz - un punto di riferimento vero per chi arriva da lontano e vuole ritrovare nel pallone un sapore buono e conosciuto. «A metà giugno mi ha chiamato l'altro “pazzo”, il direttore sportivo Emilio Cosentino: ha proposto un'amichevole sul campo sintetico con una squadra formata da senegalesi. Il sabato dopo è arrivata la richiesta dei gambiani sull'erba. E alla fine ci siamo detti: “Allora, questa Coppa d‘Africa la facciamo o no?”». L'hanno organizzata in quattro settimane e in ogni dettaglio: a partire dalle mute con le bandiere nazionali sotto lo sterno, come quelle delle Nazionali ufficiali. Hanno ottenuto il patrocinio del Comune di Parma e messo all'opera un gruppo di volontari e volontarie per le cene. «E credo che già alla prima sera anche loro abbiano sentito quanto è bello essere una comunità vera».
Chiara Cacciani