Il caso

Villa Verdi, gli eredi ricorrono al Tar contro il ministero

Roberto Longoni

Busseto Pio Massa l'aveva ricordato un paio di mesi fa, lasciando la presidenza del Tribunale e la questione ancora aperta suo malgrado: «Certi provvedimenti si possono sempre impugnare». Altri, diretti interessati, pochi giorni prima l'avevano annunciato, del resto. Ora, l'ufficialità: gli eredi di Giuseppe Verdi ricorrono al Tar, per opporsi alla dichiarazione di pubblica utilità firmata dal ministero della Cultura, guidato da Gennaro Sangiuliano, finalizzata all'esproprio di Villa Sant'Agata a Villanova d'Arda. Era nell'aria, come si è detto, e non si può certo parlare di colpo di scena, ma solo di un nuovo atto in aggiunta all'«opera immobiliare» lasciata ai posteri dal Cigno di Busseto.

Un atto che potrebbe cambiare il destino della magione costruita a metà Ottocento e piena di cimeli del Maestro che qui visse per mezzo secolo. Se ne contano 7.600, dal suo pettine al cilindro, dai manoscritti ai mobili, alle tre carrozze e al pianoforte, dallo scrittoio che vide nascere tante sue opere, e qui «Aida» e «La traviata», al letto a baldacchino, ai guanti indossati per dirigere la «Messa di Requiem» in memoria di Alessandro Manzoni, al busto-ritratto di terracotta eseguito da Vincenzo Gemito, fino agli arredi della camera dell’Hotel de Milan in cui il Cigno spirò il 27 gennaio del 1901, nel capoluogo Lombardo.

C'è da far tremare i polsi ai melomani. Peccato che il museo della «vita parlante» di Verdi per ora sia a porte sbarrate e disabitato, da quando a fine 2022 l'ultimo membro della famiglia si è chiuso il cancello alle spalle. Non a caso si parla di museo: villa e parco sono sottoposti a vincoli ferrei e nulla può essere asportato da essi. E l'obiettivo del Ministero (che anche in caso di vendita all'asta avrebbe avuto il diritto di prelazione) è di farne un luogo della memoria. Ora, il bene è in custodia all'Istituto vendite giudiziarie di Parma, che ha piazzato telecamere e sostituito serrature e garantisce manutenzione e sicurezza dell'immobile oltre che del grande parco con essenze dei cinque continenti. Incombenze tutt'altro che leggere.

Del resto, bastava mettere a confronto due cifre, per capire che agli attuali proprietari la prospettiva dell'esproprio per poco meno di 8 milioni di euro difficilmente sarebbe andata giù. «Questo quando, al termine di una perizia durata due anni nella causa di divisione, il bene era stato valutato 30 milioni - ricorda Fabio Mezzadri, avvocato, ma soprattutto uno degli eredi, essendo vedovo di Emanuela Carrara Verdi -. Tale infatti era la cifra fissata per la base della vendita all'asta, e a stabilirla era stato un consulente tecnico del Tribunale: un documento dall'autorevolezza indiscutibile. Poi, nelle aste il prezzo può anche scendere, si sa. Ma da qui agli 8 milioni scarsi che ora ci verrebbero corrisposti ce ne corre».

«Un altro buco nell'acqua del ministro della Cultura - per la senatrice di Italia Viva Silvia Fregolent -. È evidente che Gennaro Sangiuliano non voglia ascoltare la richiesta di coinvolgere le istituzioni locali e i privati di buona volontà in un’operazione di mecenatismo per salvare un luogo simbolo dell’identità nazionale».

Mezzadri intanto contesta anche il metodo alla base della decisione contro la quale lui e gli altri eredi hanno deciso di battersi. «In 120 anni alla famiglia è sempre stata riconosciuta la capacità di mantenere Villa Sant'Agata. Non credo ci si possa accusare di mancanza di cura».

Almeno un paio di volte gli eredi si sono recati a Roma, per chiedere al Ministero di fare un'offerta. Ma nessun accordo è stato mai raggiunto. «Ma voglio sperare che si torni a un tavolo - conclude Mezzadri -. Del resto noi eredi non abbiamo alcuna intenzione di opporci alla vendita. E gli espropri invece vengono decisi proprio quando l'operazione non è possibile».

Roberto Longoni