Università
Parlare con le mani: boom di richieste per imparare la lingua dei segni
Le iscrizioni, a numero chiuso, per il corso di laurea a orientamento professionalizzante in «Interprete in Lingua dei segni italiana (Lis) e Lingua dei segni italiana tattile (List, acronimo inList), presente nell’offerta formativa dell’università di Parma dall’anno accademico 2023/24, si chiuderanno alle 12 del 2 agosto. Accoglieranno, come l’anno scorso, quindici persone, che dovranno affrontare un colloquio.
Pietro Celo, ricercatore a tempo determinato A in Linguistica generale all’Università degli Studi di Parma, fa parte del corpo docente. È un «Coda», acronimo inglese che sta per «Children of Deaf Adult», cioè figlio di persone sorde.
«Generalmente, i figli di sordi segnanti (che usano la Lis) conoscono a loro volta la Lis e appartengono alla Comunità dei sordi. Non si considerano figli di handicappati, ma appartenenti alla comunità. Spesso sono interpreti di Lis e partecipano alle battaglie di rivendicazione della comunità. Io sono anche figlio unico, quindi la Lis è stata la mia prima lingua», spiega Pietro Celo.
Professor Celo, in che modo l’ha aiutata, nella docenza, il suo essere bilingue?
«Conoscere entrambe le lingue da nativo non è un titolo di merito, io ne ho fatto una professione coniugando la mia passione e i miei studi. Il confronto tra lingue è infatti uno dei miei filoni di ricerca».
Che cosa pensa di questo corso?
«Finalmente la comunità civile (lo Stato) si è presa carico del riconoscimento della lingua (2021) e della formazione degli interpreti di Lis e di Lis Tattile per le persone sordo-cieche. Il nostro corso è uno dei tre in Italia organizzato dalle università, così come prevede la legge. Attendevamo da anni questo corso, un modo per dare dignità alla professione e alla lingua di segni».
Come si è evoluta, nel tempo, la figura dell’interprete Lis?
«Da interprete amico e paternalista, ad assistente, a tutore del sordo e a un vero e proprio professionista che lavora in diversi campi della traduttologia e dell’interpretazione. Un interprete coinvolto nelle dinamiche professionali, ma anche in quelle sociali del riconoscimento della dignità della lingua, dell’emancipazione e delle pari opportunità della comunità e dei singoli sordi». Che cosa deve fare un interprete oggi per essere un buon interprete?
«Essere davvero professionale, vivere la propria professione e il proprio ruolo all’interno della comunità dei sordi ma anche della società più in generale».
Come vede il futuro dell’interpretariato?
«Con l’approvazione dei decreti attuativi della legge del 2021, la formazione è demandata alle Università. Questo ha migliorato la qualità degli apprendimenti e ha aperto nuove possibilità, specie nella traduzione, presso enti pubblici, percorsi museali, enti filantropici, teatro, tv, letteratura».
L’anno scorso l’ateneo di Parma ha avuto 53 richieste per 15 posti, a dimostrazione che il corso è molto ambito. Nel tempo anche lei ha notato un aumento dell’interesse? Se sì, qual è il motivo, secondo lei?
«L’interesse è stato sempre alto, l’approvazione della legge ha dato una spinta ai bisogni della comunità dei sordi, ma anche della società, di offrire questo tipo di servizio. Anche quest’anno abbiamo un buon numero di richieste che selezioneremo questa estate».