MARTIRI
La superiora delle saveriane Giordana Bertacchini: «A dieci anni dal massacro cerchiamo ancora giustizia per Olga, Lucia e Bernardetta»
Sono trascorsi dieci anni dal 7 e 8 settembre 2014, quando vennero uccise e massacrate Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernadetta Boggian, tre Missionarie Saveriane che si trovavano in missione in Burundi.
Un delitto atroce, che scosse la nostra città, da sempre strettamente legata alle Missionarie di Maria e alla loro opera nei luoghi più martoriati e pericolosi del globo.
A distanza di dieci anni da quella tragedia, rimangono ancora dei nodi da sciogliere, per rendere giustizia alle tre religiose ammazzate.
Giordana Bertacchini, superiora generale delle Missionarie Saveriane, ricorda le consorelle con affetto ed emozione, sottolineando come la congregazione sia ancora alla ricerca di giustizia, nonostante la verità stia venendo a galla, seppur con grande fatica.
Giordana Bertacchini, a distanza di dieci anni, le ragioni del massacro delle vostre consorelle, faticano ad emergere. Cosa è accaduto in quelle due notti?
«C'è un libro molto coraggioso, intitolato “Nel cuore dei misteri” e scritto da Giusy Baioni, che ricostruisce quanto accaduto attraverso un'inchiesta molto dettagliata. Emerge che le nostre consorelle sono state uccise per un rito satanico commissionato per ragioni politiche e che, da dieci anni, c'è in prigione un innocente che sta pagando per le colpe di altri».
Perché la verità continua a rimanere nell'ombra?
«Non c'è la volontà di farla emergere, per svariate ragioni. Noi continuiamo a cercare la verità, vogliamo avere giustizia, comprendere gli interessi nascosti dietro al loro omicidio. Abbiamo sempre tenuto un profilo basso, ma gli autori materiali e i mandanti devono sapere che noi cerchiamo di conoscerli. Dall'inizio li abbiamo messi nella nostra preghiera e al contempo cerchiamo la verità».
Olga, Lucia e Bernardetta sono tre martiri. Diventeranno sante?
«Ci sarebbero le condizioni per innalzarle agli onori degli altari, ma c'è un iter complesso da seguire e poi il loro messaggio di fede continua già a parlare a tanti cuori. Per ora ci siamo limitate a inviare i dati alla commissione dei nuovi martiri, che ha solo la funzione di raccogliere i nomi di persone uccise in nome della fede. Nella basilica di San Bartolomeo (luogo memoriale dei nuovi martiri), sull'Isola Tiberina, a Roma, si custodiscono anche le reliquie di Olga, Lucia e Bernardetta».
Chi erano Olga, Lucia e Bernardetta?
«Erano persone semplici, con le loro grandezze e i loro limiti, come noi. Persone che sono state fedeli fino alla fine alla loro scelta: dare la vita per la missione, per amore di Gesù e della gente. Pensando a loro, il primo sentimento è quello di gratitudine, perché il loro è un seme che ora porta frutto. Olga, Lucia e Bernardetta hanno vissuto la missione tra la gente, nella normalità e con le loro fragilità. Il loro stile di vita, in un quartiere non facile, è sempre stato di apertura. Hanno vissuto in mezzo alla gente, senza filtri o barriere e questo le ha sicuramente rese vittime accessibili. Si sono sempre donate per la missione e, anche il loro assassinio, rappresenta un modo estremo di dono per gli altri, un esempio di fede che sta facendo breccia in tante persone, a partire dal Burundi.
Nel 2016, nel luogo in cui sono state uccise le tre religiose è sorta la cappella della pace e della misericordia.
«La cappella è un luogo dove pregare in silenzio, in adorazione del Santissimo Sacramento, per fare memoria di tutti coloro che hanno dato la loro vita per la pace nei paesi dei grandi laghi africani. Al suo interno è stato lasciato un muretto dove c'era la stanza di ciascuna consorella. I padri Saveriani che hanno in cura la parrocchia di Kamenge hanno pensato a un luogo di preghiera e silenzio, di ristoro per l’anima. La cosa più bella è vedere andare a pregare così tante persone fin dalle prime ore del mattino. Al fianco è posizionato un grande cesto dove la gente depone le proprie preghiere e intenzioni».
È vero che dopo la morte di Olga, Lucia e Bernardetta, sono arrivate le prime vocazioni dal Burundi?
«Il Papa dice che il sangue dei martiri è seme di vocazioni, e ha pienamente ragione. Dopo l'uccisione delle nostre consorelle sono arrivate le prime vocazioni in terra burundese. Più di una di loro ci ha detto di aver sentito nel cuore il desiderio di prendere il posto delle tre consorelle dopo la loro brutale uccisione».
Papa Francesco, all'indomani della morte di Olga, Lucia e Bernardetta, ha anche auspicato che «Il sangue versato diventi seme di speranza per costruire l'autentica fraternità tra i popoli». In che modo?
«Dalla croce di Gesù in poi la testimonianza di chi dona la vita fino alla fine, rispondendo alla violenza non con la violenza ma con il dono di sé, interroga e produce frutti di pace e fraternità nel cuore delle persone. Dopo la morte delle sorelle, un gruppo di donne e uomini cristiani che pregavano e collaboravano più da vicino con loro hanno deciso di continuare la preghiera, prima nella loro cappellina e poi nella loro casa diventata Cappella. Il 7 e 8 di ogni mese vanno insieme a compiere gesti di solidarietà come per continuare la loro opera. Attraverso il coraggio della verità riguardo a questo dramma, potrà essere possibile una comune presa di coscienza e una volontà di cambiamento di meccanismi che generano morte nella società, non solo per le nostre sorelle, ma per tante persone che sono state usate a fini di potere. Se poi guardiamo alla situazione del mondo, c’è forse una via alternativa al dono di sé per costruire una pace duratura nel nostro mondo?»