Lo strazio degli amici ai funerali del 22enne morto a San Prospero

«Riccardo per noi eri come un fratello»

Luca Pelagatti

Quando la bara bianca, coperta di fiori candidi, è entrata nelle piccola chiesa di Taneto un uomo, in piedi in fondo alla navata, ha iniziato a scuotere la testa e ripetere, ostinatamente, in silenzio, «no».

Un moto composto ma disperato, simile a quella dei tantissimi che ieri mattina si sono ritrovati per stringersi ai genitori di Riccardo Fanti, per offrire con la loro presenza un abbraccio e una carezza ma che in fondo, se lo avessero potuto, sarebbero sbottati a loro volta per dire no. Che non è giusto, che non dovrebbe essere possibile che Riccardo, il ragazzo biondo e gentile, quello che sorrideva sempre, adesso non sia più qui. E resti quella foto circondata dalle rose e il ricordo che brucia.

Ecco perché in tanti hanno voluto esserci: la chiesa della frazione era piena ben prima che la cerimonia iniziasse e moltissimi sono rimasti all'esterno, impietriti sotto il sole, mentre un altoparlante diffondeva le parole di consolazione del sacerdote che, subito, ha voluto ribadire che non ci stava ritrovando per un estremo saluto, un addio. Ma piuttosto per ricordare il valore dell'amore. E quello, anche se dirlo in certi momenti è difficile, non passa, non va via.

La cerimonia è stata semplice, senza enfasi, senza inutili orpelli. Solo all'ingresso della bara una musica e voci in coro l'hanno accolta mentre poi, con pacatezza, si sono succedute le letture e le parole del parroco che, con le frasi di San Paolo, ha ricordato il valore del Crocifisso, simbolo della vera forza della Fede e segno universale di quel dolore che ieri, era così intenso che sembrava quasi si potesse toccare.

Per tutta la messa Filippo, il fratello di Riccardo, pallidissimo e smarrito, è rimasto abbracciato alla mamma Angela: impossibile dire se per sostenerla o per trovare in lei la forza di non lasciarsi andare così come gli amici del ragazzo, 22 anni appena, morto in un assurdo incidente a nemmeno due chilometri da casa sulla via che percorreva ogni giorno da sempre, ogni tanto finivano per sfiorarsi, per cercare un rapido contatto. Un modo anche questo per chiedere a chi soffre dello stesso dolore il coraggio che pare svanito.

Alla fine il gesto della benedizione con l'acqua, l'abbraccio impalpabile dell'incenso hanno concluso il rito. Ma tutti sono rimasti immobili, fermi al loro posto mentre alcuni amici si sono messi davanti all'altare. E hanno cercato le parole per raccontare Riccardo.

Chi leggendo, chi ripercorrendo con un tremore nella gola la traccia chissà quante volte ripetuta, tutti con la voce rotta, hanno ricordato, rivissuto il percorso fatto insieme di una vita troppo breve. «Quando ci siamo conosciuti eravamo in tanti ma tu sei apparso subito diverso, speciale», ha scandito uno di loro. «Quanti intervalli a scuola e quanti pomeriggi nella piazzetta abbiamo trascorso insieme», ha mormorato un altro. E poi il ricordo delle corse in moto, del brivido grande di un salto col paracadute da ricordare per sempre, dei giorni insieme a pesca, dei viaggi fatti in compagnia. E poco conta quale fosse la meta: «perché avevamo la stessa grande voglia di vivere». Quando uno di loro, ormai vinto dalle lacrime, ha sussurrato «Ci conoscevamo da otto anni ma per me eri come un fratello», la mamma di Riccardo si è alzata ed è andata abbracciarli uno per uno. Agli applausi ai funerali, purtroppo, forse abbiamo fatto l'abitudine. Ma, in questo caso almeno, quel battimani era la sola cosa da fare.

L'ultimo degli amici ha poi ricordato la frase che la mamma di Riccardo ha ripetuto infinite volte in questi giorni di strazio: «E adesso cosa facciamo?». Dopo una pausa la sua risposta è stata: «Non lo sappiamo». E si capiva che non era una frase fatta, che dopo tutto questo, è difficile pensare che si possa continuare.

Fuori dalla chiesa una folla sinceramente commossa, ha alla fine circondato la famiglia e quegli abbracci sembravano non finire più. Anche quello era un modo per dire «no». Come per impedire, ancora per un istante, a Riccardo di andare via.

Luca Pelagatti