LIBRI

Sorgi racconta Berlinguer, il «santo dei comunisti»

Giovanna Pavesi

Per scrivere «San Berlinguer», pubblicato da Chiarelettere, Marcello Sorgi ha dato un ordine ai suoi ricordi e, soprattutto, ha studiato. Perché Enrico Berlinguer, prima di tutto segretario del Partito comunista italiano tra il 1972 e il 1984, è tra le figure più studiate del ‘900. «È stato crocifisso subito dopo la sua morte, poi è stato rivalutato, analizzato e mitizzato e quando questo accade finisce la possibilità di capire cosa fece di giusto e cosa fece di sbagliato», ha detto l’autore, oggi editorialista de La Stampa (che ha anche diretto) e già direttore del giornale Radio Rai e del Tg1, davanti ai tanti che, ieri pomeriggio, hanno affollato lo spazio esterno della libreria «I libri di Mary», di San Pancrazio, che ha organizzato l’incontro e portato un frammento di storia del celebre segretario del Pci anche in periferia. Introdotto da Fabrizio Rizzi e da Paolo Scarpa, Sorgi ha ricostruito l’immagine pubblica e privata di quella persona perbene, così descritta da Gaber («Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona») e ripresa nel testo, che portò il partito a «risultati straordinari», raccogliendo 12 milioni di voti (numeri difficili da eguagliare nella quotidianità dei partiti contemporanei).

«Nel 1976 disse di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della Nato che sotto quello di Mosca, che era un pensiero comune, ma il fatto che un segretario comunista lo dicesse era importante», ha spiegato Sorgi, ricordando come, nello stesso anno, al congresso dei partiti comunisti mondiali, davanti ai dirigenti sovietici disse «non obbediremo», rimarcando il diritto a un’esistenza multiforme di ogni partito comunista, spiegando poi il compromesso storico.

«Il Partito democratico ha scelto di mettere i suoi occhi sull’ultima tessera prodotta, il che significa cercare di nuovo il suo sguardo», ha dichiarato, intervenendo in apertura, il sindaco, Michele Guerra. E alla domanda sul significato del titolo (tanti gli chiedono il perché e molti altri gli dicono che ha fatto bene a chiamarlo così), Sorgi ha risposto con due aneddoti: «Quando Berlinguer morì andai a fare la cronaca dei funerali: Roma era invasa da tutti i lati, con un milione e mezzo di presenti. La sua bara arrivò su un furgone nero, con una corona sopra e la bandiera del Pci. Fui colpito dal fatto che tutta la gente lo chiamava per nome, Enrico, continuamente, come fosse un modo di considerarlo vivo e di considerarlo loro. Fu una specie di sottofondo che accompagnò la manifestazione. Nel 2005, alla morte di papa Wojtyla, ebbi la curiosità di andare ai suoi funerali. Dentro alla folla c’era una piccola folla, costituita dai polacchi, che erano disperati e che lanciarono il coro “Santo subito”. Mi vennero in mente i funerali di Berlinguer: anche il popolo comunista aveva avuto il suo santo. San Berlinguer».

Giovanna Pavesi