Festival Verdi

«La battaglia di Legnano», bene la “prima” ma il foyer si scatena contro la regia di Valentina Carrasco

Lucia Brighenti e Ilaria Notari

«Guerra dunque!... terribile!... a morte! senza un’ombra di stolta pietà!». Viene in mente il titolo del film di Sydney Pollack (o del romanzo di Horace McCoy), «Non si uccidono così anche i cavalli?», guardando l’allestimento firmato da Valentina Carrasco de «La battaglia di Legnano», andato in scena ieri in orario pomeridiano al Teatro Regio di Parma, terzo titolo del Festival Verdi, accolto da un sostanziale successo in un teatro quasi colmo.

A essere messa in primo piano è infatti la guerra spogliata dal trionfalismo patriottico che accendeva gli animi negli anni in cui Verdi scrisse l’opera. Una scelta che risulta coerente sia dal punto di vista musicale che da quello scenico: Diego Ceretta, sul podio di Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna, trova infatti un equilibrio tra la retorica esaltazione delle marce, che nutrono buona parte della partitura, e gli spunti musicali ancora in germoglio delle opere che verranno, curando timbro ed equilibri di un’orchestra reattiva.

Il cast piace: Marina Rebeka svetta per classe con una Lida dal profilo drammatico ben delineato, Antonio Poli interpreta Arrigo con piglio eroico, mentre Vladimir Stoyanov dà spessore umano a Rolando. Adeguati Riccardo Fassi nel ruolo di Federico Barbarossa, Alessio Verna (Marcovaldo), Emil Abdullaiev (Il Podestà di Como / Primo Console di Milano), Bo Yang (Il Console), Arlene Miatto Albeldas (Imelda), Anzor Pilia (Uno Scudiero di Arrigo/Un Araldo).

Buona prova anche quella del Coro del Teatro Comunale di Bologna, preparato dal maestro Gea Garatti Ansini, in un’opera in cui la compagine è decisamente resa protagonista.

Basandosi sull’immagine dei cavalli in battaglia come simbolo di tutte le vittime della guerra, che da una guerra subita e non scelta non traggono alcun beneficio, Valentina Carrasco spoglia il palcoscenico da quasi ogni elemento scenografico. A campeggiare in primo piano sono riproduzioni di cavalli a dimensioni reali (le scene sono di Margherita Palli), che si muovono sul terreno sconnesso e fangoso dei campi di battaglia. I protagonisti si muovono in questa atmosfera desolata, priva di punti di riferimento per l’occhio, sottraendo all’opera l’epica della narrazione patriottica per mettere a nudo la guerra per ciò che è: una testa mozzata di cavallo che campeggia in quasi ogni scena. Il popolo viene a più riprese reso protagonista portando il coro in proscenio, dando spazio a chi di solito non viene ricordato dalla storia. E non sono solo gli uomini in battaglia, ma anche le donne a essere vittime, come suggerisce la loro acconciatura con lunghe code così simili a quelle dei cavalli che accudiscono. Un’idea registica che sceglie una chiave di lettura coerente da inizio a fine, col rischio di sembrare un po’ statica, ma con il merito di rispettare la musica in un’opera che in fondo non offre molti spunti al di fuori dell’entusiasmo patriottico che animava l’Italia del 1848. I costumi di Silvia Aymonino sono una sorta di “pastiche”, funzionale allo scopo di togliere una precisa connotazione storica, mentre un ruolo essenziale hanno gli efficaci giochi di luci e di ombre di Marco Filibeck.

Alla prova della ribalta applausi per tutti, con solo un’isolata contestazione diretta al direttore d’orchestra.

Lucia Brighenti

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Al Regio c’è la «Battaglia» e nel foyer si scatena la guerra. Di opinioni si intende. Le sparate più grosse sono contro la regia di Valentina Carrasco, per alcuni senza senso e con la scena di Arrigo che «sembra ambientata nella scuderia del Castellazzo», ma c’è anche chi difende la regista come Leo Riva secondo cui «dopo l’inguardabile Boccanegra, con le mezzene appese, qui ha proposto uno spettacolo elegante con le magnifiche scene di Margherita Palli».

Carlo Alfieri, “Battaglia” nel Club dei 27, dice: «non sono contrario alle regie moderne ma in questa opera il contesto storico e la fedeltà alla trama sono fondamentali. Non capisco il trasportare la storia nella Prima Guerra mondiale. Tre errori della regia: primo la cavalleria nella battaglia le prese dal Barbarossa e solo dopo l’intervento massiccio della fanteria furono sovvertire le sorti della battaglia, secondo il figlio in fasce non ha senso, il bambino ha sei anni perché Arrigo torna dopo otto anni, terzo il più clamoroso Arrigo si dovrebbe gettare dalla torre nell’acqua sottostante con gesto estremo sottolineato anche dalla musica e non furtivamente da una stalla. Serata da sei meno meno».

Per Nicola Bertinelli presidente del Consorzio del Parmigiano «Il Festival è una vetrina per la città e la musica di Verdi un’eccellenza che ci rappresenta nel mondo. Stasera c’è un cast che valorizza quest’opera del Verdi minore. Il tenore Poli canta con tecnica e generosità e il soprano ha dolcezza e acuti sicuri in un ruolo molto bello ma difficile perché è ancora un ibrido. Bene anche Stoyanov, ottimo interprete verdiano con la sua morbidezza, fraseggio e legato». E’ d’accordo Ester Rebecchi: «il cast mi sembra all’altezza del compito, anche se ho ancora davanti la magnifica prima di Macbeth».Tanti cavalli in scena ma più che al galoppo si va al passo secondo Elena Alfieri, 27 anni laureata in canto al Conservatorio Boito: «E’ un’opera insidiosa a livello musicale: la presenza di grandi fanfare, cori e marce crea il rischio transitare nell’ambito bandistico. I personaggi principali sono tutti messi alla prova duramente a livello musicale e tecnico, specialmente il tenore, e siamo fortunati perché da Poli in poi, ci sono grandi professionisti che hanno gestito al meglio la sfida».

Ilaria Notari