Negozi che chiudono
Via Garibaldi, la crisi continua : ma c'è chi guarda al futuro
«Volete sapere come è messa via Garibaldi? Basta pensare che di recente ha chiuso persino un emporio gestito da cinesi: non ce la facevano a tirare avanti. C'è qualcosa altro da aggiungere?».
Se una battuta valesse come sentenza questa sarebbe da «fine pena mai». Ma chi parla, dopo una vita spesa dietro una vetrina affacciata su via Garibaldi, la strada se la porta nel cuore. Ed ecco allora la chiosa intrisa d'affetto: «Ma questo lo posso dire io che sono qui da sempre. I giornalisti, chi la racconta guardandola da fuori, devono solo dire che è ancora bella».
Certo, una vecchia signora anche se un po' ingrigita merita comunque rispetto. Ma tra negozi sbarrati, frequentazioni discutibili e immondizie le rughe saltano all'occhio. La tenerezza e un po' di trucco non bastano più a dissimularle.
Basta fare due passi per capirlo: i negozi sbarrati, da viale Bottego sino all'incrocio con via Mazzini, sono 18. E per molti la scritta «affittasi» sulla vetrina è ormai coperta di polvere d'annata.
«Il problema è però più ampio: molti tra quelli ancora aperti sono poco attrattivi», prosegue il solito commerciante che, di nuovo, non se la sente di infierire e gioca d'eufemismo. Si, perché è dura pensare che una strada che si vorrebbe salotto buono di una città d'arte possa attrarre clienti e passeggio elegante solo proponendo kebab e paccottiglia «made in China». Proprio quello che qui, è evidente, sta invadendo ogni spazio. Sono sei, e il loro numero continua a crescere, i market etnici, quelli che tirano sera vendendo due mandarini e cento birre; otto i negozi di cover e accessori per cellulari taroccati; ben nove i kebab. Nei cento metri scarsi di fronte al Magistrato per il Po le rivendite di panini mediorientali sono addirittura cinque. E alcuni sono pure confinanti.
Colpa degli affitti lievitati, del progressivo invecchiamento dei titolari che vanno in pensione, del cambiamento dei consumi, si potrebbe argomentare. Tutto sacrosanto: ma quello che resta è una strada con poca anima. E sempre meno appeal.
Se si guarda poi in certe laterali la situazione riesce anche a peggiorare. «In via Borghesi e via Albertelli si sono creati dei veri e propri ghetti – raccontano i residenti. - Scoppiano liti, volano bottiglie, i marciapiedi sono impraticabili e chi abita in zona, spesso, allunga la strada pur di non passare di li». Senza dimenticare, poi, lo spaccio diffuso e chi si massacra col crack che tutto intorno, in via Magnani in particolare, si infratta dal pomeriggio a notte fonda tra le auto in sosta. «Detto tutto questo sembrerebbe una situazione fuori controllo, senza soluzione», sbotta una residente che però, anche se non te lo aspetti ribalta il ragionamento. «Però, in realtà, ci sono anche segnali positivi». E chi vuole il bicchiere mezzo pieno deve provare a guardare in quella direzione.
«Io ho aperto quando la strada era già in sofferenza ma sono molto contenta – sorride la titolare di una boutique di gioielli e complementi d'arredo al civico 33. - I clienti ci sono, si lavora bene con i turisti ma non solo: il trucco è proporre cose che attirano, che incuriosiscono. La qualità paga e ho clienti che vengono apposta persino da fuori Parma». Sembra una ovvietà ma è forse qui che si gioca il futuro di via Garibaldi. Meglio: di tutto il centro della città. La colpa non è della strada o della sorte. Ma di chi la vive e ci lavora. E a volte investe. «Noi abbiamo fatto una scommessa che si è dimostrata vincente - spiegano alla «Casa del Parmigiano», un progetto targato salumeria Verdi e Silvano Romani, proprio di fronte al Regio. La bottega è minuscola e si vendono solo derivati del latte. Sarà che siamo a Parma, sarà che sono buoni ma la coda spesso arriva fino in mezzo alla strada. «Il successo deriva da una scelta precisa: servono prodotti scelti con cura, che rappresentano eccellenze. E i clienti, quando lo percepiscono, arrivano». Insomma, una piccola rivoluzione in una strada che per troppo tempo si è adagiata sull'opzione più banale, scontata. Quella perdente di stringersi nelle spalle dicendo: «corrono brutti tempi. Accontentiamoci».
«Io per esempio ho un negozio sfitto ma non accetto bar o fast food: piuttosto rinuncio al guadagno – spiega il titolare di un esercizio con la scritta “affittasi”. - Ho ricevuto diverse richieste ma non mi sembrano all'altezza di quello che è, o meglio dovrebbe essere, via Garibaldi. E allora ho detto di no. Non per razzismo o snobismo: solo per puro senso degli affari. Se aprisse l'ennesimo kebab ci rimetteremo tutti: alla fine i negozi normali chiuderebbero e resterebbe solo una distesa di spiedi e tristezza». Insomma, grande è la confusione sotto il cielo di questa strada. Forse la situazione non è eccellente ma si può ripartire.
«Noi abbiamo aperto da poco - raccontano le socie, giovani e sorridenti, di un neonato bar: in carta ci sono i malloreddus e sulla insegna la bandiera dei Quattro Mori a riprova che non serve, per forza, essere «del sasso» per pensare positivo.- E crediamo che si possa lavorare bene anche se, occorre ammetterlo, soprattutto di sera la zona è quello che è».
Ma, lo ripetono in tanti, questo non è un destino segnato: è piuttosto una situazione contingente. E allora si può cambiare. «Ci vorrebbe un progetto, una idea: si accenna ad una pedonalizzazione? Parliamone. Un piano commerciale mirato? Confrontiamoci. Occorre attirare imprenditori che credano nella via e ci mettano risorse e impegno. Ma devono essere sostenuti: i commercianti devono sentire che il loro è rischio di impresa, non follia». Intanto un gruppo di turisti tedeschi si ferma davanti ad una vetrina e spara una raffica di foto: «Wunderbar» (meraviglioso) è il commento. Via Garibaldi, la vecchia signora, sorride e ringrazia. E per un istante si sente ancora bella come un tempo.