Il centro che sta morendo
Chiudono i negozi di via Mazzini
«Ha presente il modo di dire: “Se Sparta piange, Atene non ride”? Ecco, qui in via Mazzini la situazione è la stessa: la Ghiaia langue, via Garibaldi si sta spegnendo. E noi siamo messi così». Affacciata sulla porta del suo storico negozio di calzature la commerciante, indicando il cartello «svendita totale» sulla vetrina e gli scaffali vuoti, si stringe nelle spalle. Come dire: altro che ridere. Qui si singhiozza.
Eppure, meno di dieci anni fa, durante un'austera cerimonia al palazzo del Governatore venne presentato un «progetto di ampio respiro» che intendeva «rendere via Mazzini più attrattiva e maggiormente fruibile da parte dei cittadini ed anche dei turisti, in modo da valorizzare il più possibile il centro della città». Da allora ad oggi c'è stato il Covid, è vero, e il mondo è cambiato repentinamente. Ma qualcosa non deve aver funzionato.
Sì, perché quella che nel Settecento fu la via dei Mercanti ora ha perso buona parte del suo appeal. Commerciale e non solo. Dispiace: non serve un addetto ai lavori per capirlo.
Lungo la strada, parliamo di meno di 260 metri di lunghezza, ci sono infatti la bellezza di otto vetrine - alcune storiche - sprangate. A parlare con chi ci lavora il numero è destinato a crescere di almeno altre quattro unità entro la fine dell'anno, mentre per il 2025 si preparano altre dismissioni. Tutto questo a limitarsi alla strada principale: in borgo Basini le saracinesche abbassate sono tre, in via Goldoni addirittura nove. Se ci si aggiunge quel deserto che è la Galleria Bassa dei Magnani è facile perdere il conto.
«E sa cosa è peggio? Che questo è solo l'inizio», spiega da dietro il bancone di una boutique una commerciante. Dalla sua vetrina si vede la statua di Garibaldi: insomma, più centrale di così non si può. «Il mio negozio cesserà l'attività a breve. Si tratta di uno spazio ampio che difficilmente, visti i prezzi degli affitti elevati, potrà attirare un imprenditore locale. C'è quindi da sperare che arrivi una catena o una multinazionale: altrimenti il rischio è che tutto resti chiuso per sempre».
Cupe previsioni di cassadre? Pare di no: a chiedere in giro, il pessimismo è tangibile e diffuso. Variando poi il settore merceologico il sentimento non cambia. «Una volta era una bella strada: adesso si lavora poco e male», spiega la barista in un locale con i tavolini all'esterno. «Per due negozi che funzionano ce ne sono altri cinque che si preparano ad andarsene», rincara un rivenditore di cibo. E un altro, settore abbigliamento, mestamente, conferma: «Entro i primi mesi del 2025 chiuderò. Non scriva il mio nome: mi conceda almeno il tempo di fare la svendita».
Un fuggi fuggi che lascia smarriti: ma che per un altro imprenditore che da decenni guarda il mondo attraverso le sue vetrine ha un senso chiaro: qui si sta scatenando la tempesta perfetta. «Per valutare il valore commerciale di un negozio occorre calcolare il numero di persone che transitano in quella zona - spiega -. Ora basta usare le applicazioni del computer per farlo e quello che emerge è che il centro di Parma, da almeno dieci anni, è sempre meno frequentato dai suoi abitanti. Se a questo si aggiunge che non c'è una politica di sostegno del commercio, che si disincentiva l'uso delle auto e si punta invece su operazioni di chiusure sempre più estreme, si capisce perché si sono persi tanti potenziali clienti». Sarebbe già abbastanza, ma poi occorre aggiungere il boom degli acquisti online, il proliferare dei centri commerciali e, come se non bastasse, uno strisciante senso di insicurezza dato dalla presenza sempre più invadente di ragazzini terribili e sfaccendati molesti e si coglie perché parlare di tempesta perfetta non è eccessivo. «Molti clienti, in particolare le donne, non amano più venire in via Mazzini - si lamenta un'altra esercente - Una volta il mercato della Ghiaia era un traino importante che ora si è, in gran parte, perso. Alcuni episodi di degrado e microcriminalità hanno esasperato la percezione».
Ma siamo a Parma, tutto è tranquillo, lo sfacelo di certe grandi città non si respira, si potrebbe obiettare. «Ma è anche altrettanto vero che non lontano da noi, per esempio a Modena o a Verona, il centro risulta più curato, controllato, elegante. E il commercio, infatti, regge molto meglio». Punti di vista opposti, approcci differenti: ma che, per chi deve fare i conti con la logica inesorabile del registratore di cassa, diventano fondamentali: «Un'attività non regge solo con gli incassi del sabato mattina. Soprattutto alla luce degli affitti e delle spese sempre più alte», sancisce un altro commerciante che dice non di voler rinunciare: «Almeno per il momento». Ed ecco allora spuntare i cartelli «affittasi» che, dettaglio scomodo, spesso restano per mesi. O per anni.
«Ho la spiacevole sensazione che non sarà facile invertire la tendenza - è l'amara conclusione. - Se continueranno a cessare attività storiche e attrattive arriveranno, facile previsione, quelle che durano una manciata di mesi e poi scompaiono, quegli empori senz'anima e senza garbo che vediamo già in altre zone. Il modello dell'Oltretorrente è vicino e sappiamo quanto soffra. Vogliamo che resistano solo via Cavour e via Repubblica e tutto il resto sia un deserto?».
Quella che fu strada Bassa dei Magnani intanto si prepara per il week end di quasi festa. Ma non per tutti: «Tre giorni fa ho saputo della chiusura decisa dalla mia proprietà - è il commiato - Mi perdonerà se il mio entusiasmo l'ho perso per strada».
Luca Pelagatti