La rugbista delle Furie Rosse

La doppia meta di Giada Franco: rientro in campo dopo un anno e laurea. «Ora voglio riprendermi la maglia azzurra»

«La prego, non parliamo di rinascita. Mi piace definirla per quella che poi effettivamente è: una ripresa. Rinascita è quando si interrompe qualcosa, mentre io nella mia testa sono stata sempre una giocatrice. Convinta di poter tornare tale. Ce l'ho messa tutta».

Ha dovuto centuplicare le forze Giada Franco, terza linea delle Furie Rosse e della Nazionale italiana, per superare un calvario durato oltre un anno: il grave infortunio al crociato durante il Sei Nazioni, l'intervento, una riabilitazione lunga e complessa. Ma il dolore più acuto era quello di un'anima tormentata, tra la voglia di spaccare tutto e la paura di non poter più giocare, almeno a certi livelli. «Paura che ho vissuto fino a non molto tempo fa» rivela Giada, ora che può tirare un bel sospiro di sollievo. In tre giorni, tra domenica e mercoledì, metaforicamente parlando è come se avesse messo a segno le due mete più belle: prima il ritorno da protagonista nel XV di Colorno in una partita di campionato, quindi la laurea magistrale in Management dello Sport e delle attività motorie. «Meglio di così non poteva andare».

Giada, quante emozioni quasi in un colpo solo…

«Già, sono veramente felice. Mi sento più leggera. Il recupero dopo l'infortunio è stato più lungo di un parto, non vedevo mai la luce in fondo al tunnel. Ho avuto paura, lo ammetto. Questo periodo ha messo a dura prova la mia resistenza mentale. Ho dovuto tirare fuori pazienza e carattere, non avevo alternative».

Rientro a pieno regime e laurea quasi in contemporanea: dica la verità, aveva programmato tutto.

«Per niente. Mi sarei dovuta laureare agli inizi del 2025, ma sono riuscita ad anticipare. In questo anno lontano dagli impegni agonistici, diciamo che ho avuto la possibilità di rimettermi bene sui libri».

Com'è stato tornare a giocare?

«Euforia allo stato puro. Già in Coppa, due settimane prima, avevo avuto un assaggio di questa sensazione. Sto ritrovando il ritmo partita, anche se ancora sono ancora lontana dalla condizione migliore. Non voglio mettermi fretta».

L'infortunio era arrivato nel suo momento migliore.

«Come accade sempre in questi casi: sei al top e arriva un imprevisto a tagliarti le gambe. La rottura di un crociato è traumatica, ma poi il dolore fisico passa. Ti resta il travaglio interiore. Giocare a rugby è la mia vita, la mia passione, una valvola di sfogo: non poterlo fare, per un periodo di tempo così dilatato, è stato difficile da accettare. Ho temuto che la mia carriera fosse finita».

Come ha trovato le Furie Rosse?

«Le giovani che c'erano sono cresciute e ne sono arrivate di nuove, altrettanto brave. Abbiamo un'età media, a livello di squadra, tra le più basse del campionato. Ma c'è un bel mix, possiamo arrivare fino in fondo».

Tornare in Nazionale è un altro obiettivo?

«Farò di tutto per vestire ancora la maglia azzurra. La convocazione dovrò guadagnarmela. E intendo farlo. Lo devo prima di tutto a me stessa, per dimostrare di essere ancora una giocatrice competitiva».

Alle Furie Rosse manterrà il doppio incarico: giocatrice e allenatrice delle formazioni giovanili?

«Quello di allenatrice è un ruolo che mi gratifica molto. Anche restando lontana dai campi a lungo, ho comunque lavorato per lo sviluppo del club e per le Furie Rosse di domani: questo mi rende orgogliosa. Come lo sono per la laurea, arrivata dopo tanti sacrifici e che rappresenta un tassello fondamentale per il mio futuro. Resterò nel mondo dello sport anche quando avrò smesso di giocare».

Ma quel giorno è ancora lontano...

Vittorio Rotolo