Un mito
Giacomo Agostini ospite del Rotary alla Dallara: «Il mio amore per le moto»
Non capita tutti i giorni di stringere la mano ad un mito. Lui, Giacomo Agostini, 82 anni bergamasco, che si aggira ancora per le valli a bordo della sua moto, è consapevole di esserlo, ma dietro a quei begli occhi di ghiaccio che hanno fatto impazzire tante ragazze nella seconda metà del secolo scorso si intravede tanta umanità e la gratitudine di un uomo che ha avuto dalla vita tutto ciò che desiderava. E’ passato mezzo secolo da quando sfiorava i muri dell’Isola di Man ai 200 all’ora sulla mitica MV Agusta, ma ovunque vada lo fermano ancora per strada per un selfie, un saluto affettuoso o un grazie per le emozioni che ha saputo regalare.
Così è accaduto anche mercoledì sera alla Dallara, dove Agostini è stato ospite di Rotary Parma e Rotary Parma Est ed ha raccontato ai soci dei due club la sua lunga incredibile avventura umana e sportiva. Agostini si è subito “raccontato ” alla Gazzetta, poi, accompagnato da Giampaolo Dallara, Filippo Bassoli, amministratore delegato di MV Agusta (che proprio a Varano ha la sua casa di vacanza) e dai due presidenti del Rotary Alberto Bordi e Andrea Belli, ha fatto un rapido giro fra le dive a quattro ruote esposte nella Dallara Academy, intrattenendosi davanti alla Miura progettata dal cavalier Dallara a 27 anni, e alla handbike di Alex Zanardi (olimpionico a Londra e Rio). Si è fatto immortalare davanti alla “Superveloce Ago”, il nuovo bolide MV a lui dedicato, prodotto in edizione limitata a 311 pezzi, pari al numero delle corse vinte dal campione bergamasco, portata per l’occasione da Filippo Bassoli. Poi l’intervista condotta da Gianmarco Beltrami, direttore comunicazione della Dallara.
Un panettiere per meccanico
«La moto che mi è rimasta nel cuore? Certamente la MV e poi anche la Yamaha, con le quali ho vinto 15 campionati mondiali – ha risposto Ago – ma non potrei mai dimenticare l’emozione che mi ha regalato il Settebello Morini, in sella al quale ho vinto la mia prima gara, la Bologna – San Luca. Il mio meccanico era il panettiere del paese che non sapeva neppure smontare la candela, e con me avevo il bauletto dei ferri e la borsa di salame e cotolette preparata dalla mamma. I mondiali li ho vinti con MV e poi anche con Yamaha, a dimostrazione che la moto contava, ma anche il pilota non contava meno, ma le prime vittorie sono quelle che ti restano nel cuore».
Quella moto Agostini la volle, fortissimamente la volle, nonostante il padre gli avesse detto che non avrebbe firmato l’autorizzazione a correre perché «si rifiutava di firmare la mia condanna a morte». Ma alla fine la spuntò grazie ad un amico notaio, che convinse il padre a firmare pensando che fosse per correre in bicicletta. «Effettivamente – ammette Agostini – mi è andata molto bene. Sono caduto poche volte, e un paio ho visto la morte in faccia, specialmente quando sono finito in un canale a bordo strada ai 240 all’ora. Non c’erano caschi speciali, tute, airbag e piste senza piante e muretti. Ho perso tanti amici che hanno lasciato la vita in pista. Non posso dimenticare Renzo Pasolini. All’isola di Man, dove si sfiorano case e piante, si muore ancora oggi: tre anni fa, quando sono tornato come spettatore, ci hanno lasciato la vita 5 motociclisti. Ma sono tragedie che si possono evitare. In 50 anni è cambiato tutto, si può correre il mondiale in sicurezza, anche se secondo me hanno esagerato con l’elettronica: sono moto, non aerei».
Il regalo di papà
Ago ci racconta poi la storia cominciando dall’Aquilotto, motorino con i pedali, regalo del padre quando aveva 9 anni: «Per lui fu un errore fatale – ricorda – alle 7 di mattina ero già davanti al concessionario e quando sono salito sono sparito e rientrato a casa alle 4 del pomeriggio. Quella volta ne ho prese tante…».
Quindi ripercorre le tappe di una lunga ineguagliabile carriera, iniziata con l’esordio alla Trento – Bondone, dove, con la sua moto Settebello Morini “self made”, arrivò secondo su 40 piloti, per arrivare al non facile approccio davanti al camino nel salotto del conte Agusta, alle epiche sfide con Mike Hailwood (l’avversario più ostico), ma anche con Lucchinelli, e con amici che non ci sono più, come Renzo Pasolini e Jarno Saarinen, morti entrambi sul circuito di Monza nel ‘73: un dolore immenso per Agostini, pari a quello dei tanti compagni di moto lasciati sul pericoloso circuito del Tourist Trophy sull’Isola di Man. «Nel 1967 – ricorda – al Tourist Trophy ero in testa fino all’ultimo giro dopo 360 km di lotta con Mike Hailwood, e si ruppe la catena. E’ stata la mia più grande delusione».
Ago e gli Usa
Fra gli episodi più cari ad Ago, lo sbarco negli Usa sulla sua nuova moto Yamaha a due tempi nel 1977: sulla pista sopraelevata di Daytona, Agostini trionfò nella durissima 200 miglia: «Ho sempre bevuto poco – ricorda – c’era un caldo infernale, a metà gara non ne avevo più, volevo ritirarmi, poi ho pensato al pubblico, ho stretto i denti, ho tagliato per primo il traguardo, ma sono stramazzato al suolo e mi hanno rianimato con una flebo». Agostini aveva scoperto l’America, in barba a Kenny Roberts, che se lo voleva mangiare a colazione. A chi gli chiede il perché di tanto successo con le ragazze, Agostini risponde che è più facile per chi ha molta visibilità, e che «il pubblico ama chi sa fare le cose che gli altri non sanno fare», come lui, appunto, e come Valentino Rossi, prima che il Motomondiale cambiasse pelle. E se dovesse portare due piloti di oggi nel suo team, farebbe come la Ducati: Pecco Bagnaia e Marc Marquez.
Antonio Bertoncini