Intervista
Federico Rampini: «Così vedo i futuri scenari politico-economici internazionali»
Che futuro ci aspetta, ora che Trump torna alla Casa Bianca, più agguerrito che mai, e che minaccia dazi per tutto ciò che gli Stati Uniti importano? Quali scenari politico-economici si possono prevedere? Quali speranze di raggiungere la pace in Ucraina e in Medio Oriente? Quanto verosimili sono le minacce nucleari di Putin? E che prospettive per la Nato si possono immaginare? Domande che tutti noi ci poniamo e alle quali prova a rispondere Federico Rampini, giornalista e saggista, uno dei più autorevoli e lucidi opinionisti sui temi di geopolitica e di scenari internazionali. Rampini sarà a Parma mercoledì prossimo, per intervenire all’evento che la «Gazzetta di Parma» e l’Unione industriali organizzano per la prima edizione di Top Imprese Parma. Lo abbiamo intervistato, chiedendogli di anticipare alcuni dei temi che tratterà nella sua conferenza.
Il titolo del suo intervento sarà «I nuovi assetti economici globali post elezioni americane». Cosa racconterà alla platea parmigiana?
«Cercherò di situare la rielezione di Donald Trump nelle sue giuste proporzioni. Non è l’Apocalisse. Ho l’impressione che in certi ambienti italiani ed europei soffi un vento di panico. In parte è alimentato dal catastrofismo dei media: gli stessi che erano stati incapaci di prevedere e di spiegare la vittoria di Trump, sono in cerca di una rivalsa demonizzandolo. Io mi sforzo di tenere i piedi per terra, e di capire verso quale scenario andiamo. Certo per l’Italia ci sono delle preoccupazioni, a cominciare da quella molto concreta sui dazi. Nel mio intervento a Parma parlerò diffusamente del protezionismo, e di come l’Italia si deve attrezzare».
Ha dichiarato di aver dato il suo voto a Kamala Harris – pur considerandola la «peggiore candidata per cui abbia votato» – perché considerava Trump un danno e un problema, soprattutto per l’Europa e per gli europei. Immagino non abbia cambiato opinione, dopo le prime nomine annunciate.
«Continuo a pensare che Kamala Harris sia stata una candidata disastrosa e vergognosa. Non escono bene da questa vicenda quei media americani che hanno partecipato alla congiura omertosa del partito democratico: prima tacendo sulle condizioni piscofisiche di Joe Biden, poi trasformando la sua mediocre vicepresidente in una Superwoman. Le nomine di Trump sono nella norma del personaggio, per così dire. La peggiore di tutte per fortuna è già stata ritirata, quella di Gaetz alla Giustizia. Spero che il Senato pur avendo una maggioranza repubblicana gli bocci il candidato alla Difesa. Altre sono buone, per esempio Rubio come segretario di Stato (cioè agli Esteri). Quelle economiche – dal Tesoro al commercio estero – non sono male. Restano valide per me le due ragioni principali per cui non ho votato Trump: io non escludo affatto che la sua presidenza possa giovare agli americani; però temo che danneggerà l’Europa sia con i dazi sia indebolendo la Nato».
Qual è la sua opinione su Elon Musk e sul suo ruolo nella presidenza Trump?
«Anche su Musk c’è molta faziosità. Finché Musk sosteneva e finanziava Barack Obama e Hillary Clinton era gradito ai democratici, e grazie alla Tesla lo consideravano un ambientalista. Da quando è passato dall’altra parte è diventato il demonio supremo, e viene ignorato il suo genio imprenditoriale. Il ruolo dei grandi capitalisti è una costante della politica americana: il democratico Franklin Roosevelt si appoggiò molto sul banchiere Morgenthau nella seconda guerra mondiale, il democratico John Kennedy affidò l’inizio della guerra in Vietnam al presidente della Ford (Robert McNamara, segretario alla Difesa), il democratico Bill Clinton delegò la sua politica economica al numero uno di Goldman Sachs, Robert Rubin. E i miliardari di sinistra sono una categoria così affollata da non fare più notizia: Bill Gates, Mark Zuckerberg, George Soros, Michael Bloomberg. Con Musk c’è un salto di qualità per il suo ruolo nei social (Twitter-X) e nella geopolitica (Starlinmk). Per adesso ha pesato poco nelle nomine di Trump. Se riuscisse davvero a snellire la burocrazia e ridurre la spesa pubblica, sarebbe un bene».
Ha visto da vicino Trump e l’ha seguito come corrispondente per i quattro anni della sua prima presidenza. Quali differenze si aspetta?
«Forse dalla sua prima presidenza dovrei aver imparato che è meglio non avere aspettative troppo precise. L’imprevedibilità è una sua caratteristica, così come l’impulsività, l’agire per istinto, spesso ignorando i consigli dei collaboratori. Di sicuro questa volta sembra aver riunito una squadra più omogenea, più trumpiana, a cominciare dal suo vice JD Vance. Ma anche il resto del mondo ha avuto quattro anni dal gennaio 2017 al gennaio 2021 per allenarsi a trattare con Trump. Gli unici che non sembrano avere imparato molto sono certi colleghi giornalisti, dalla Cnn al New York Times al Washington Post, che perseguono lo stesso giornalismo resistenziale: fanno parte loro stessi della lotta politica, come tali non aiutano a capire».
Rispetto al “Trump I” (gennaio 2017-gennaio 2021) il Tycoon trova un’America più forte e un’Europa più debole. E minaccia dazi che allarmano non poco l’economia italiana, e non parliamo dell’export dei prodotti della food valley.
«Confermo che l’America di oggi è ancora più forte rispetto ad allora. Il Rapporto Draghi contiene dati illuminanti sul divario di crescita e di competitività, che ha ulteriormente allargato l’Atlantico, rafforzando la superiorità americana. Del resto i mercati – dollaro e Borse – confermano questo verdetto e vedono con un certo ottimismo il Trump II. Non è solo nei confronti con l’Europa che gli Stati Uniti si sono rafforzati, ma anche nella gara con la Cina. Non a caso i capitali fuggono dalla Cina e affluiscono in America. Il primo Trump lanciò dei dazi che non furono così disastrosi, né per l’America né per il resto del mondo, com’era stato previsto con allarmismo dalla maggior parte degli economisti. L’inflazione temuta non si verificò: infatti arrivò tre anni dopo e solo per effetto dello shock-pandemia. Biden confermò molti dazi di Trump e ne aggiunse di suoi, inclusi sull’alluminio italiano. Purtroppo l’export italiano è un bersaglio, e l’agroalimentare in particolare. Il fatto è che il commercio mondiale si regge su squilibri macroscopici: l’America pur abbracciando il protezionismo in dosi crescenti rimane il mercato più aperto del mondo, non a caso accumula giganteschi deficit commerciali. Messico, Cina, Germania, Italia, vantano alcuni dei maggiori attivi commerciali: questo li rende vulnerabili».
Come vede il rapporto tra Stati Uniti e governo Meloni?
«Parte su basi ottime. Giorgia Meloni dovrà spendersi questo capitale di simpatia, proprio per cercare di limitare i danni dei dazi sul made in Italy. Ma dovrà anche vedersela con un altro problema: l’Italia resta uno dei pochissimi Stati membri della Nato a non rispettare l’impegno di spendere almeno il 2% del Pil per la difesa. L’Italia è un caso esemplare di parassitismo della sicurezza, tema su cui Trump tornerà alla carica. Anche su questo, non demonizziamolo: l’impegno di destinare almeno il 2% del Pil alla difesa fu chiesto e ottenuto da Barack Obama nel 2012».
Dall’Ucraina al Medio Oriente, il mondo trema. Che previsione si sente di fare?
«Evitiamo la tentazione di incolpare preventivamente Trump per i disastri che eredita dall’Amministrazione Biden-Harris. I democratici pretendono di essere i veri esperti in politica estera, gli unici affidabili custodi di un ordine internazionale, eppure ci lasciano un mondo in fiamme con due conflitti terribili che non hanno saputo fermare. In Ucraina l’America e l’Occidente non hanno affatto aizzato una guerra per procura, al contrario hanno sempre fatto troppo poco e troppo tardi per sostenere la difesa contro l’aggressore. A questo punto sembra inevitabile che un accordo di tregua abbandoni a Putin dei territori strappati con la violenza. Ma questa fine ignominiosa è nei fatti da tempo, Trump non farà che sanzionarla, temo. In Medio Oriente lui sosterrà Netanyahu ma vorrà anche rimettere in gioco l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman, con cui ha un rapporto altrettanto forte».
Crede alla minaccia nucleare di Putin?
«Vedo che la minaccia nucleare di Putin ha già funzionato, a più riprese: ogni volta che lui la brandisce terrorizza alcuni europei, italiani in testa, e li invoglia a qualsiasi cedimento. Tutto sommato anche Biden si è lasciato condizionare e ricattare. I veri esperti sostengono che sia poco realistica, quella minaccia, però la sua efficacia politica è stata enorme».
Quale futuro immagina per la Nato, dopo le minacce di Trump?
«Con una leadership politica comatosa in Germania, Francia e Regno Unito, non riesco a fare grandi sforzi di immaginazione. Se la componente europea ci crede, e investe il necessario, la Nato può sopravvivere. In Italia troppi dimenticano che è grazie alla Nato se abbiamo avuto pace, prosperità, democrazia. Nel mio ultimo libro, intitolato provocatoriamente Grazie, Occidente! spiego anche questo: dobbiamo rileggere la nostra storia in chiave positiva, invece di denigrarla. Altrimenti finiremo per soccombere a sistemi politici molto più arretrati e oppressivi».