Colpi di Testa

Putin e Berlusconi, retroscena di un'amicizia

Vittorio Testa

C'era mancato poco, quel giorno d’agosto del 2003, che Silvio Berlusconi passasse alla storia come lo «Zaricida», carnefice del nuovo Signore di tutte le Russie Vladimir Putin, mediante una “castagnola” ben mirata sull’ospite, nell’incanto sardo di Villa Certosa, dove il gelido monarca russo era arrivato con la moglie.

Personaggio pregiatissimo e potente, meritevole pertanto di grandi onori: doveroso, dunque, tributargli una festa memorabile: così il Cavaliere ingaggia un’orchestra e Andrea Bocelli, il cantante cieco (parola che, pronunciata, ignora la «ì»: sicché il capo della scorta di Putin si informava se il tenore avesse antiche origini di Praga o comunque provenisse dalla Repubblica Ceca).

Insieme alla musica occorreva però qualcos’altro, una cosa di impatto, forte e giocosa: degna di coronare il battesimo di Putin come cittadino onorario di Villa Certosa, una delle venti “seconde case” del Cavaliere. Ecco l’idea giusta: uno spettacolare lancio di fuochi d’artificio.

Si erano piaciuti subito al primo incontro del 2001, lo «Zar» e il Tycoon televisivo di Arcore: incontro avvenuto durante il G7, il summit di Genova, quello della violentissima reazione della Polizia nel pestare i dimostranti.

Il Potere assoluto e il Padrone dell’Immagine del potere, il Signore della Tv diventato poi premier partito dal niente e diventato presidente del Consiglio in tre mesi. Una simpatia basata anche sugli scarsi centimetri verticali: entrambi alti a malapena un metro e settanta, grazie a sopralzi ben camuffati dal calzolaio. Sono, i nostri due eroi, agli antipodi come carattere e formazione. Il tiranno russo ha lo sguardo di un azzurro cupo e metafisico, il sorriso una lama ben temperata. È un uomo addestrato dal Kgb, figlio di un sommergibilista sovietico alla fonda nel Mare del Nord. Valdimir incute soggezione e paura. Silvio è un prodotto della media borghesia milanese, quella che esplode nel cosiddetto boom degli anni Cinquanta e Sessanta, la «Milàn l’è un grand Milàn». Simpatico, bisognoso di piacere a tutti, tampinatore indefesso e seduttore seriale di donne e uomini, capace di vendere centinaia di case immaginate, ancora alle fondamenta. Baciamano alle signore e pacche sulle spalle ai futuri “cumenda”. Una faccia di bronzo irresistibile: «Signora! Ma certo che mi ricordo di lei! Come potrei dimenticare la sua grazia?». E con il marito: «Sciur Brambilla, el vedarà che panorama con la Grigna e el Resegun che i te guardan da la vedrada del salott». Generoso, studente modello al Liceo Classico dei Salesiani, poi laureato in Legge. Pianista e cantante in una gioventù povera ma ricca di estro e affascinata dal Dio denaro. Subito dopo o subito prima, ecco la devozione e la dedizione totale al Femminino. Una molla che contribuirà molto al suo declino politico e fisico. Passione, questa per le gonnelle condivisa da Putin, ma su un versante più saggio e moderato. Se Silvio ci tiene da matti a far sapere l’intensità quotidiana del suo essere amatore plurimo, Putin è all’opposto una faccina falsa che nega e minaccia ritorsioni ai giornalisti liberi. Professione molto rischiosa in Unione Sovietica, dove sono ben duecento i cronisti uccisi negli ultimi anni.

I due piccoletti dunque si piacciono a tal punto da diventare via via sempre più amici solidali e, secondo i dirigenti statunitensi, anche sodali e soci in affari. L’ambasciatore americano in Italia non avrà dubbi: «Molti ritengono che Berlusconi e i suoi soci in affari- scriveva nel 2010 Ronald Spogli, sulla base di intercettazioni che porteranno alle dimissioni del Cavaliere, stiano approfittando a titolo personale dei molti accordi italo-russi per le forniture energetiche, traendone profitti ingenti». «L’ambasciatore georgiano a Roma – proseguiva il diplomatico americano – ci ha riferito che, secondo il governo georgiano, Putin avrebbe promesso a Berlusconi una percentuale per ogni gasdotto installato da Gazprom in collaborazione con l’Europa».

I due diventano sempre più “pappa e ciccia”. Quando Silvio cadrà da presidente del consiglio, Putin ne tesserà le lodi di «politico lungimirante e capace di un’azione decisiva nel disgelo tra Usa e Russia, culminata nella Dichiarazione di Roma, l’impegno sottoscritto nel vertice di Pratica di Mare». E sarà un Berlusconi all’ottavo cielo quello che leggerà la dichiarazione del suo amico per la pelle che liquida le accuse mosse a lui per via delle frequentazioni postribolari di escort e di ragazze minorenni: «Tutta invidia: se Silvio fosse gay nessuno l’avrebbe incolpato». Una vita all’insegna dell’adorazione reciproca. Scambi di inviti, fotografie ritraenti i due amici nell’abbraccio stretto, in Crimea, a Mosca, in Sardegna, a Arcore dove Vladimir, piombato a casa di Silvio alle due di notte, verrà amorevolmente rifocillato a ammesso a giocare a palla lanciata e riportata con l’adorato Dudù, il barboncino bianco di Paola Pascale, allora fidanzata del Cavaliere, convertito alla cinofilia, anche in considerazione del fatto che 130mila famiglie italiane possedevano un cane o un gatto.

E’ comunque un episodio che lascia il segno quello di Putin che appresa la notizia dell’addio di Berlusconi chiede di osservare un minuto di silenzio per l’amico che lo ha sempre difeso, anche quando lo Zar decide di aggredire l’Ucraina. Insomma, un’amicizia a prova di bomba, iniziata nel 2001, che ha prodotto, come sempre nelle vicende berlusconiane, luci ed ombre. Sempre comunque allietata dalla Dea Fortuna. Come capitò in quel giorno di agosto del 2003. Disavventura che il Cavaliere e il suo entourage erano riusciti a tenere nascosta. E che invece verrà propalata dallo stesso Putin, in un’intervista rilasciata ad Alan Friedman per la biografia «Berlusconi: my way». Dopo aver elogiato grandemente l’amico Silvio, tributandogli aggettivi luccicanti, d’improvviso lo Zar cambia direzione e prende per una subordinata obliqua. «Non so se a Silvio piacerà quello che sto per raccontare - dice Putin - ma aveva organizzato un piccolo spettacolo di fuochi d’artificio a Villa Certosa, che cominciò con alcuni razzi che puntavano direttamente sulla terrazza dove eravamo noi». Cioè lui, la sua guardia del corpo, Andrea Bocelli e la fidanzata Veronica, e l’allora moglie del Cavaliere, Veronica Lario. Puntavano e faranno sul serio: partiranno alcune sibilanti e poi esplodenti “castagnole”. Putin – uomo dal sangue freddo di comandante del Kgb – protetto dalla guardia si abbassa e si scansa in fretta; così pure riescono a limitare i danni la Lario e Andrea Bocelli. Ad essere centrata dall’esplosione è invece Veronica Berti, a quel tempo fidanzata del tenore, del quale diverrà in seguito moglie. Bella donna aitante e formosa, la Berti avrà l’abito come disintegrato e via via sempre più ridotto dallo scoppio della “castagnola”, che come Cavaradossi nella «Tosca», «le belle forme disciogliea dai veli»: accendendo l’entusiastico correre in soccorso delle numerose guardie del … corpo. Di Berlusconi nessuna traccia. Riapparirà, immusonito, ore dopo alla ricerca del colpevole “bombadiere”: una guardia dal passato di artificiere che aveva collocato male i punti di lancio.

Ma resta da capire il perché Putin abbia un po’ carognescamente spifferato l’episodio. Mistero degli umori umani, sondati però con impareggiabile maestria da Larochefoucauld: «Nelle sventure dei nostri amici - osservava il principe degli aforisti francesi del Settecento - c’è comunque qualcosa che non ci dispiace».