Viale Maria Luigia

Melloni, l'allarme dei genitori: «Fuori da scuola violenza e rapine»

Anna Pinazzi

Si sono organizzati così: i ragazzi più minuti escono da scuola insieme ai compagni più alti e robusti. Qualcuno - chi può - si fa venire a prendere in macchina dai genitori: «È diventato impossibile prendere l'autobus, stare alla pensilina è troppo pericoloso». Tutto per non essere picchiati e derubati proprio fuori da scuola, dove «ogni giorno i nostri figli rischiano violenze continue», raccontano in una lettera aperta inviata alla Gazzetta di Parma due rappresentanti di classe del Melloni, Luciana Azzali e Federica Vecchi. Ma la situazione, date le diverse segnalazioni, è generalizzata lungo viale Maria Luigia.

Lo sfogo dei genitori

«Ogni giorni all'uscita da scuola assistiamo a episodi di aggressioni gratuite a scopo di rapinare e dare sfogo alla violenza anche per futili motivi: diverse sono state le denunce effettuate negli ultimi mesi - fanno sapere -. La qualità della vita dei nostri figli è condizionata pesantemente da questo clima». Succede sempre così: un gruppo di giovani - «sembrano minorenni» - si avvicinano ai ragazzi che sembrano fisicamente più fragili: li minacciano, si avvicinano, e quando va bene tutto finisce lì. Spesso, però, inizia l'escalation di violenza. E alle minacce verbali si aggiungono forti spintoni. L'obiettivo? «Soldi o oggetti di marca». E a volte neanche quelli: «Vogliono sopraffare anche per futili motivi».

«Sintomi preoccupanti»

Le due rappresentanti fanno da portavoce a una schiera di genitori fortemente preoccupati. E che ogni giorno ascoltano i propri figli raccontare di un «dopo scuola» di paura, piuttosto che di legami, relazioni, spensieratezza. «Ascoltando i nostri figli - proseguono le due rappresentanti - sono emerse preoccupazioni, ansie che ormai la fanno da padrona nell'esercizio della libertà». Tanti, tantissimi ragazzi, «stanno manifestando sintomi preoccupanti», legati all'impossibilità di sentirsi davvero tranquilli e al sicuro. In particolare, i genitori parlano di «forte rabbia e difficoltà a vivere la loro socialità all'interno del tessuto urbano, non riuscendo rapportarsi serenamente con i loro coetanei, tanta è la diffidenza». Quello che sentono gli studenti è «un forte senso di rassegnazione». Ma i genitori non mollano: «Noi, invece, non ci rassegniamo, non possiamo vedere così i nostri figli - ribadiscono -. Vogliamo che la situazione cambi e che andare a scuola non sia più un incubo».

La preoccupazione si scandisce al ritmo di continue telefonate e messaggi. «Hanno appena picchiato un mio amico», «hanno rubato il portafoglio al compagno di classe» e così via. Ecco, allora, che molti genitori si hanno riorganizzato la loro giornata lavorativa, approfittando della pausa pranzo per andare a prendere i propri figli davanti a scuola: «È più sicuro». Ma non tutti possono farlo. E per chi deve prendere l'autobus: «L'uscita da scuola è ancora di più un incubo - spiegano le rappresentanti - aspettare alla pensilina è un pericolo».

La scuola non c'entra

I genitori, però, tengono anche a sottolineare che «la scuola non c'entra assolutamente, gli episodi si verificano sempre al di fuori - affermano -. Abbiamo parlato con il dirigente, che ha ascoltato le nostre preoccupazioni: c'è stata massima disponibilità». Ma ancora, il dirigente Fasan, contattato telefonicamente, preferisce non intervenire spiegando che agirà in maniera opportuna.

L'appello alle istituzioni

L'obiettivo della lettera è costruttivo: un segnale di collaborazione, una richiesta di aiuto, per non sentirsi soli davanti alla violenza alla sofferenza dei propri figli. «Crediamo che un confronto tra i giovani e le istituzioni, anche all'interno della scuola - fanno sapere i genitori - possa servire a creare collegamenti». E la domanda secca è: «Si può fare di più?». I genitori chiedono, inoltre, «pattuglie fisse negli orari critici».

«Forte rassegnazione»

Poi un'ultima riflessione sull'educazione, la crescita personale dei ragazzi. «Abbiamo tentato di crescerli nel rispetto delle autorità e, nella fattispecie, per esempio, delle forze dell'ordine, insegnando loro la funzione necessaria di protezione, forza e giustizia - scrivono i genitori nella lettera -. Oggi trapela un risentimento e incapacità di comprendere come un sistema non riesca a produrre soluzioni costruttivi ed efficaci alla tutela dei singoli». I giovani, ora, «non hanno fiducia in quel sistema e la cosa peggiore è proprio il senso di rassegnazione».

Anna Pinazzi