Amarcord
Il mestiere del traghettatore: da una riva all'altra del Po
Polesine Zibello Tra i numerosi mestieri che, un tempo, si svolgevano tra l’una e l’altra riva del Grande fiume, una menzione particolare la merita quella del traghettatore.
Un lavoro che, per la sua finalità principale, che era quella di collegare le due sponde trasportando persone e merci, può essere considerato un simbolo, a pieno titolo, dell’unione fra l’una e l’altra riva dl Po.
Una professione da tempo scomparsa come scomparsi, ormai, sono i vecchi traghetti. Chissà che, da qualche parte, non se ne possano ancora recuperare, almeno in piccola parte, i pezzi, oltre che le memorie e le immagini. E’ doveroso farne memoria ma è anche doveroso credere nella possibilità che un simile mestiere possa tornare in auge, nell’ambito dei progetti di valorizzazione e promozione turistica e culturale del Grande fiume.
Tornare a collegare le due sponde via acqua, sviluppando sia i collegamenti di carattere mercantile e commerciale che potenziando i percorsi turistici e culturali tra le due sponde (dando quindi la possibilità di trasportare persone e biciclette) è una carta da giocare, e su cui scommettere, anche nell’immediato. Per il bene, presente e futuro, delle terre del medio Po.
C’è una chicca conservata nel Museo della civiltà contadina «Giuseppe Riccardi» di Zibello, al momento chiuso per lavori. Si tratta di un manifesto, di oltre cento anni fa, datato primo aprile 1923, del Consorzio pel Servizio di traghetto sul Po fra Zibello e Pieve d’Olmi. In questo avviso pubblico, l’allora sindaco di Zibello informa che «in seguito alla sistemazione della strada portuaria in territorio di Pieve d’Olmi, nonché alla costruzione di un natante della portata di 5 cavalli e 5 carretti a 2 ruote, da oggi è stato ripreso il servizio di Traghetto sul Po fra questo Comune e quello di Pieve d’Olmi, da tempo rimasto inoperoso per difficoltà di comoda viabilità. Chiunque voglia usufruire di tale passaggio – si legge ancora – troverà il servizio pronto e inappuntabile». Nell’avviso si annuncia quindi che il passaggio di pedoni e veicoli, dall’una all’altra sponda, si effettuerà ogni giorno con imbarchi da Zibello alle 5.30, 9.30, 14.30 e 17.30. Gli imbarchi da Pieve d’Olmi, invece, alle 7, 11, 14 e 19. Nel manifesto sono poi riportate tutta una serie di tariffe. Si va dai 60 centesimi per un pedone senza carico alle 20 lire per macchine trebbiatrici a vapore per frumento, melica ed altri prodotti agricoli; motori a scoppio per aratura e segatura camions e conduttore. Zibello è stata terra di mitici traghettatori, come il leggendario «Ciufana» (“al secolo” Giuseppe Cavalli) e Roberto Arduini. A «Ciufana» (uno che, se lo chiamavi Giuseppe, non avrebbe nemmeno immaginato che ti rivolgevi a lui, perché per tutti era e resta Ciufana) il «Corriere Emiliano» (denominazione con cui uscì la Gazzetta di Parma tra il 1928 e il 1940, mantenendo comunque, come sottotestata, il nome originario) dedicò un interessante articolo.
«Era Ciufana anche il nonno – ricorda l’ex sindaco e grande storico locale Gaetano Mistura – tutta gente del Po. Ciufana padre – aggiunge Mistura – era un gigante che sembrava dominare il fiume. Quando con la sua barca a remi si staccava dalla riva per raggiungere l’altra sponda si poteva pensare che stesse sbagliando direzione, che avesse preso male la mira, ma per lui la corrente, il vento, la deriva non avevano segreti, sbarcava al punto di approdo senza sbagliare di un centimetro, anche nella notte più fonda. Se lo aveste chiamato con un fischio (perché così si chiamavano i barcaioli) per farvi traghettare sull’altra sponda, ve lo sareste visto arrivare, sudato ed esausto, in mezzo alla nebbia, ma pronto per portarvi sull’altra riva. Ciufana, mitico abitatore del fiume che, come una creatura mitologica metà uomo e metà pesce, poteva vivere sulla terra e nell’acqua, indifferentemente». Non solo Ciufana, ma anche Roberto Arduini è stato, per molti anni, un importante e stimato traghettatore locale.
A lui, il compianto giornalista e scrittore Elio Grossi, per tanti anni prezioso collaboratore della Gazzetta di Parma, nel suo libro «Uomini e mestieri di ieri e di oggi» aveva dedicato tutto un capitolo in cui lo stesso Arduini ricordava gli anni trascorsi a Casalmaggiore con gli spostamenti tra Cremona, Monticelli d’Ongina, Casalmaggiore, Pizzighettone (con trasferte, quindi, anche lungo l’Adda), Boretto e Guastalla. Quindi, il rientro a Zibello nel 1946 (dopo gli anni da prigioniero di guerra in Sud Africa) e l’ingresso come socio nella Cooperativa Trasporti Fluviali con cui si organizzavano le prime gite, di una sola giornata, da Zibello a Cremona (specie per la fiera di San Pietro). Tre anni dopo, quindi, dopo l’acquisto di un residuato bellico, il ritorno in proprio, come traghettatore, con collegamenti tra Zibello e la storica Tenuta «Della Zoppa» (sulla riva cremonese).
Se a Zibello c’era Ciufana, a Polesine era attivo Vigion. Luigi Spigaroli era il nonno dello chef stellato e attuale sindaco di Polesine Zibello Massimo Spigaroli. Evidentemente l’eredità del nonno Luigi e dello zio Dante (quest’ultimo il traghettatore lo faceva di professione) si è incuneata profondamente (ed è bene che sia stato così) nelle vene e nella testa di Massimo e Luciano Spigaroli, che da anni portano avanti i saperi ereditari dai genitori, dai nonni, dagli zii: tutti legati, intimamente, al fiume.
Era inizio Novecento, quando la famiglia Spigaroli era affittuaria del podere Brolo di Polesine Parmense. Luigi, uomo d’affari, stanco di attraversare il Po in barca per andare a lavorare i terreni sull’isola fluviale della vecchia rocca (in sponda sinistra a due passi da Brancere e da Stagno Lombardo), si ingegnò a costruire «il port», un traghetto formato da due barconi uniti da un asse in rovere, che permetteva ai carri di salire con gli animali. Data anche l’assenza di ponti nelle vicinanze, il traghetto divenne importante anche per trasportare persone e merci tra le due sponde, sfruttando il transito molto frequentato per Cremona. Luigi, che fu l’iniziatore, si occupò sempre più degli affari in inverno e, con gli altri figli, della macellazione dei maiali. Nel 1904 il podere fu acquistato dall’imprenditore bussetano Giuseppe Muggia (1877-1944), ebreo, proprietario delle tranvie a vapore della provincia di Parma (i cui binari arrivavano fino a Polesine e al Po). Il palazzo (l’attuale Antica Corte Pallavicina) era divenuto, all’epoca, il deposito per entrambe le attività di Giuseppe Muggia e le scorte di carbone si accumularono nei vari saloni. Intanto il fiume continuava a spostarsi verso sud e una piena disastrosa distrusse gli edifici rustici che circondavano una delle due corti del Palazzo: una grande perdita per gli affittuari, costretti a ritirarsi nei pochi ambienti rimasti.
Gli Spigaroli alla Corte si trovavano bene: in estate curavano il podere, mungevano le mucche, piantavano i pioppi, facevano fascine e coltivavano cocomeri, grano, medica e ortaggi; allevavano polli, anatre, tacchini, bachi da seta e numerosi maiali che macellavano in inverno producendo salumi che poi venivano venduti, interi, anche ai passeggeri del traghetto della linea Polesine-Stagno Lombardo. Una volta l’anno, poi, Luigi invitava politici, commercianti, artisti e possidenti di Parma e Cremona per una merenda sul traghetto in mezzo al fiume. Fra le personalità che frequentavano queste merende c’era anche l’artista Renato Brozzi (1885/1963) di Traversetolo che si riforniva di culatelli da Luigi Spigaroli per poi portarli in dono al Vate Gabriele D’Annunzio al Vittoriale.
Visto che per passare il Po era tra l’altro necessario parecchio tempo, la moglie Ginevra ebbe l’idea di allestire per le persone in attesa del traghetto due piccole baracche in legno sulle due sponde offrendo ai viaggiatori, con l’aiuto delle figlie, i loro salumi affettati assieme ad ottimo pane fatto in casa e al vino frizzante della Bassa Parmense. Attorno furono piantati pioppi e gelsi le cui ombre, in estate, procuravano refrigerio. Fu un vero successo con gente che non arrivava solo per passare il Po ma anche per incontrarsi nelle due baracche-osteria che venivano chiamate «Lido». Si cominciarono così a friggere anguille, carpe, tinche, ambolina, ad affettare culatello, salumi ed a produrre i primi gelati della zona. Venne poi costruita una pista da ballo in cemento e d’estate arrivavano le orchestrine di campagna ad allietare le serate. Così, in poco tempo, la fama del Lidi arrivò nelle città vicine con gente che arrivava da Parma col treno a vapore, da Fidenza in bici o in calesse, da Cremona col traghetto.
Una storia importante e preziosa, quella dei traghettatori, con la possibilità che non tutto sia andato perduto ma possa tornare in auge, e osare non costa nulla, una attività che potrebbe portare nuovo lavoro, nuova linfa e nuova vitalità, sul fiume.
Paolo Panni