Intervista
Il direttore Oleg Caetani, la musica nel Dna: «Ma da piccolo sognavo di fare il Papa». A Parma alla Feltrinelli e con la Toscanini
Venerdì alle 20.30, sul podio della Filarmonica Toscanini all’Auditorium Paganini, salirà Oleg Caetani per dirigere la Sinfonia n. 6 di Čajkovskij, detta «Patetica», e il Concerto per Violino di Brahms, con Boris Belkin come solista.
Nato a Losanna, figlio del direttore e compositore Igor Markevitch e della nobildonna Topazia Caetani, è cresciuto a contatto con tantissime diverse culture, imparando ben sei lingue. Oggi pomeriggio alle 18 sarà ospite alla Libreria Feltrinelli di via Farini all’interno della rassegna «Music Club – quali libri leggono i musicisti».
Come convivono i due compositori del concerto di venerdì?
«In un programma possono convivere molto bene, ma nella realtà non sarebbe andata così. Brahms non amava la musica di Čajkovskij e quest’ultimo trovava quella dell’altro molto banale. Il compositore russo, che viaggiava ogni anno in treno verso la sua amata Francia, un giorno è capitato ad Amburgo e là ha conosciuto Brahms di persona. Sono andati insieme a bere e si sono ubriacati: deve essere stata una serata molto simpatica. Forse hanno avuto modo di trovarsi in sintonia dal punto di vista umano, ma sicuramente non da quello artistico».
Per un direttore qual è la differenza tra una sinfonia, dove si ha maggiormente il controllo della situazione, rispetto a un concerto dove si deve dialogare, in qualche modo, con un solista?
«Naturalmente c’è solista e solista. Lavoro per la prima volta con Belkin: è un magnifico violinista ed è molto legato alla tradizione russa. È estremamente ritmico, ma molto affidabile. In generale adoro accompagnare un solista, se c’è sintonia».
Sente una responsabilità particolare nell’accompagnare un solista?
«Dirigo molto l’opera e sono abituato ad accompagnare i cantanti. Non ho mai avuto contrasti con i tenori o con i soprani e ho avuto con loro dei rapporti stupendi, come anche con i mezzo-soprani: mi è successo più spesso di avere qualche difficoltà con i baritoni anche se ci sono tante eccezioni».
È la prima volta che dirige la Filarmonica Toscanini?
«Non avevo mi lavorato con questa magnifica orchestra. Ho conosciuto bene Vladimir Delman, che ne è stato direttore stabile – perché veniva a Santa Cecilia a sentire i concerti di mio padre».
È anche la prima volta che viene a Parma?
«È la prima volta che vengo a dirigere, ma sono venuto spesso ad ascoltare il mio grande amico Gianluigi Gelmetti, ed ero venuto anche per il Trovatore diretto da Temirkanov con il quale abbiamo avuto lo stesso insegnante».
È possibile essere amici, tra direttori d’orchestra?
«È facile essere amici quanto è facile essere nemici, non c’è una via di mezzo. Sinopoli e Gelmetti erano proprio due veri amici e anche Gergiev è una persona straordinaria. Ognuno ha la sua visione e sono affascinato da tanti direttori del passato e del presente».
Forse tra voi c’è meno ipocrisia perché non siete costretti a lavorare insieme?
«Dobbiamo spesso avere a che fare, però, con i cantanti e con i registi: con questi ultimi ci rimettiamo spesso le penne e mi è capitato anche di soffrire per i tempi che mi volevano imporre, a discapito dei metronomi indicati dai compositori».
È arrivato all’amore per la musica tramite suo padre?
«Da bambino non ero per nulla “intellettuale”. Mi piacevano soltanto il nuoto e lo sci ed ero anche molto mistico: avrei voluto fare il Papa. Giovanni Paolo II era esattamente quello che sognavo perché univa le mie passioni. L’amore per la musica, comunque, mi viene anche dalla parte di mia madre che mi portava sempre all’opera a Losanna. L’incontro decisivo, però, è stato con Nadia Boulanger, la straordibaria didatta di tanti grandi del Novecento. Avevo nove anni e ho vissuto un mese a casa sua».
Gli autori che più ha nel cuore?
«Sicuramente Šostakoviĉ e Verdi. Non credo tanto nell’astrologia, ma sono entrambi bilancia, come me e mia moglie».
Giulio A. Bocchi