Coro Monte Orsaro

Da 45 anni tra le vette delle emozioni

Pietro Ferrari

Un percorso lunghissimo, fatto di musica, rievocazione e forti emozioni, iniziato nel lontano 17 gennaio del 1980. Quel giorno, un gruppo di amici, uniti dalla passione per il canto, fondò il coro alpino Monte Orsaro (dal 2004 parte dell’Ana, sezione di Parma) nella parrocchia di San Giovanni Battista a Parma. Oggi, 45 anni dopo, questo gruppo di uomini esiste ancora, e continua a mettere anima e impegno a servizio della musica e dei ricordi. Ogni volta che salgono sul palco, questi coristi sanno come entrare nel cuore dell’audience: non iniziano a cantare in «modo banale e amatoriale», bensì dopo un lungo studio, condito da dedizione e grande passione. Ci vuole infatti una forte sensibilità e un’attenta cura a trattare certi temi e a maneggiare una peculiare tipologia di brani.

«Siamo in trenta e il più anziano ha 85 anni. Ogni volta che ci incontriamo per le prove nella nostra sede di via Farnese ognuno di noi dà tutto, perché quello che rappresentiamo ha radici profonde - racconta Stefano Bonnini, il direttore da più di 20 anni. - Ho ereditato il mio ruolo dal nostro vecchio maestro, Beppe Boldi, che ci ha lasciato qualche anno fa. Boldi ha creato un repertorio di canto popolare, di brani tratti dalla tradizione montanara e parmigiana, che abbiamo tutt’ora».

«Con il passare del tempo abbiamo ovviamente avuto uno sviluppo: abbiamo un modo di cantare meno severo di un tempo, più legato a spunti di musica moderna – specifica Bonnini. -. Il nostro repertorio si divide in: canti popolari propriamente detti, quelli delle valli o quelli di lavoro, come le mondine, poi abbiamo i canti degli alpini, ovvero quelli della tradizione delle grandi guerre e infine un buon terzo di canti originali. Sono brani moderni, che trattano temi come l’importanza dell’ambiente».

Nei loro concerti le emozioni sono tante, gli ascoltatori vengono infatti immersi in momenti, scene e tragedie della Prima e della Seconda guerra mondiale: «Il primo grande conflitto ha avuto un ruolo nell’alfabetizzazione degli italiani: c’erano persone che parlavano solo dialetto, che provenivano tanto dalla Sardegna quanto dal Veneto, e si trovavano insieme in trincea a combattere. Tanti soldati si sono ritrovati a portare canzoncine che cantavano in trincea a casa, creando così nuove parole per melodie che già avevano, e questo profondo dettaglio riemerge nei nostri concerti. I canti degli alpini della Seconda guerra mondiale sono invece quasi tutti di nuova composizione, e si cercano di rievocare episodi di grande tragicità, come la ritirata di Russia».

A lungo Bonnini e i suoi «ragazzi» hanno eseguito 30 esibizioni all’anno, per l’Italia e per l’Europa (non solo nelle iniziative per gli Alpini), poi purtroppo è arrivato il lockdown, che tuttavia non ha frenato l’entusiasmo: «Siamo l’unica realtà italiana che è in grado di portare, con immediatezza, ricordi di eventi che sono devastanti - ha concluso l’erede del maestro Boldi -. Spesso reduci dalle guerre, ma anche il pubblico che non le ha vissute, ci ringraziano per il tipo di emozioni e atmosfere che siamo riusciti regalare».

Pietro Ferrari