Editoriale
Guerra e pace e la salute? i rischi dietro l'angolo
Le ultime ore testimoniano ancor di più come l’assetto mondiale si stia rapidamente ridefinendo nei confini geografici di influenza (quale Russia e Ucraina avremo valle dei negoziati di pace?) e nella sua leadership politica, evidenziando limiti e opportunità di chi sta determinando l’ineluttabile cambiamento, e sia di chi viene trascinato passivamente, l’Europa.
I grandi cambiamenti politici, ed i conseguenti effetti economici e sociali, vengono determinati, in democrazia, dalle elezioni di nuovi leaders, che portano una visione differente, e di rottura rispetto al passato. Questo è avvenuto negli Stati Uniti, dove la presidenza Trump 2 si è già caratterizzata con un’azione politica ed economica radicalmente differente dalla Trump 1, perché? L’assetto del mondo è nuovamente cambiato nel frattempo, ad una velocità ulteriormente accelerata e completamente sconosciuta al corso della sua storia di civiltà millenarie, di guerre, carestie e pandemie secolari che hanno afflitto i popoli per decenni e decenni.
Negli ultimi cinque anni abbiamo attraversato una pandemia globale (covid-19), sconfitta a tempo di record grazie alla ricerca e alla forza produttiva dell’industria farmaceutica, una crisi energetica indotta dalla Russia, e guerre vicine (Russia e Ucraina, Palestina e Israele) a noi, con effetti destabilizzanti sulla logistica globale, le filiere produttive ed industriali, nel solco già tracciato di una deriva climatica di riscaldamento globale, che hanno un comune denominatore nelle risposte politiche e nelle soluzioni pratiche, ovvero il cambiamento e l’innovazione. L’industria farmaceutica ha risposto, su scala globale, rilanciando massivamente gli investimenti in R&S (2 trilioni di dollari da qui sino al 2030), alla capacità si scalare i dati grazie all’AI.
Trump semplicemente ha colto l’opportunità di questo “nuovo mondo”, di questo ulteriore cambiamento di scenario per affermare, oltre a se stesso, la supremazia economica, politica e industriale e di fare innovazione e ricerca degli Stati Uniti, in modo diverso dal passato, approfittando del vuoto lasciato dall’Europa che non ha saputo, per incapacità politica e di una leadership inadeguata, comprendere la velocità del cambiamento e governarlo a proprio favore. Non sorprende quindi come rispetto ai grandi temi politici mondiali attuali, l’Europa venga sistematicamente bypassata, e Von der Leyen non sieda ai tavoli che contano.
Nel frattempo, il combinato disposto del Green Deal oltranzista di Timmermans e Von der Leyen, l’assenza di una strategia di politica industriale (per presa posizione ideologica), di una forte visione sulle scienze della vita, basata su ricerca e sviluppo e produzione, hanno aumentato il gap macroeconomico e di R&S a vantaggio di USA e Cina, con stagflazione perdurante e crisi industriale che lascia azzoppata in partenza Von der Leyen 2.
La lezione del covid pare lontana e ampiamente dimenticata, come se non avessimo nemmeno attraversato quei mesi di profonda crisi sanitaria, economica e sociale, in quali termini?
Non avere oggi una politica industriale ed economica europea forte per il rilancio degli investimenti in R&S, basata sui settori strategici a maggiore valore aggiunto e competitività, come l’industria farmaceutica, risorsa per la salute dei cittadini, industria ed economia del continente (primo settore nel saldo import-export, 158 mld di Eur nel 2023). Settore che investe primariamente per portare nuovi farmaci ai cittadini, che richiede politiche attrattive di lungo termine per garantire i frutti degli investimenti in ricerca e stabilimenti per rendere economicamente vantaggioso produrre farmaci e vaccini, che oggi si scontrano con i costi troppo alti e politiche regolatorie non competitive in Europa. Complessivamente il gap Eu-Usa in ricerca scientifica e tecnologia industriale vale oltre 3000 mld di dollari - su base annua - come mancati ricavi delle imprese, secondo una recente stima di Accenture, solo per l’industria farmaceutica ha visto la riduzione di oltre il 25% della quota mondiale degli investimenti in R&S negli ultimi 25 anni.
Illuminante è stato l’editoriale del professor Ruben Razzante pubblicato sabato dalla Gazzetta: l’industria farmaceutica sta investendo massivamente in AI per dare un beneficio concreto ai cittadini, accelerando lo sviluppo dei farmaci, con una riduzione dei tempi sino al 40%, risparmiando quindi molti anni a vantaggio dell’accesso e della disponibilità dei farmaci da parte dei cittadini.
Ma in tutto questo cambiamento, avvento di nuovi farmaci, vaccini, capacità di scalare i dati grazie all’AI, propri di chi sta guidando l’innovazione su scala globale - l’industria farmaceutica - la politica della Commissione Europea dov’è? Quale senso di urgenza sta mostrando per riformulare completamente la proposta di legislazione sui farmaci rafforzando la protezione brevettuale, per renderci competitivi con i soliti Usa e Cina? Semplicemente non pervenuta. Non sono bastati i report Letta e Draghi, su mercato unico e competitività a dare la sveglia, non visibile nemmeno nell’EU Competitiveness Compass, l’ennesimo documento rilasciato il mese scorso dalla Commissione. Ma quali azioni per attrarre capitali, competenze, stimolare la ricerca e aumentare la produzione industriale di farmaci in Europa. Nulla.
Nuovamente gli Stati Uniti vogliono dettare la politica europea con la richiesta di innalzamento della spesa in difesa dell’Europa prima al 5% sul Pil, ora almeno al 3%, con revisione del patto di stabilità. Ad oggi, l’Europa non ha una linea comune di investimento in salute, in ricerca rispetto al Pil, e questo da cittadino è francamente inaccettabile, se dovesse definire una soglia minima sulla difesa senza definire altrettanto sulla salute e ricerca e sviluppo.
Oggi il Governo italiano ha una grande opportunità da cogliere con il coraggio che ne sta distinguendo l’azione: influenzare, con l’approccio pragmatico e di visione di Giorgia Meloni, il percorso urgente delle riforme europee, per darci una strategia industriale e sulla salute moderna, basata sull’innovazione, la ricerca e i dati, regole flessibili e attrattive di investimenti, grazie anche al proficuo lavoro del ministro degli esteri Antonio Tajani, nel sostenere l’apertura di nuovi mercati ed evitare dazi dannosi (in primis agli stessi Stati Uniti sui farmaci, essendo dipendenti per oltre 10 miliardi a valore di farmaci prodotti in Italia) e del Vicepresidente EU Raffaele Fitto, per sostenere il valore industriale del made in Italy, oltre che del patrimonio collettivo rappresentato dell’industria farmaceutica in Italia, champion di classe europea mondiale.