Reportage

La gente del luna park: «La nostra vita, un continuo giro di giostra»

Roberto Longoni

Gli antenati, complice l'appenninica fame, facevano danzare gli orsi fino nella Russia degli zar; lui, complice la tecnologia, fa ballare i ragazzi sulla propria testa. Imbragati sui seggiolini assicurati a un poderoso braccio meccanico, loro ruotano e vanno su e giù, sfidando gravità e paura. «Delirium» si chiama la giostra, e basta ascoltare le grida di chi ci sta sopra, più forti dei decibel sparati dall'impianto, per capire perché. Agli occhi dei sedentari, il nome potrebbe essere indicato anche per l'esistenza di Mario Maggi, radici a Compiano (borgo degli orsanti, appunto, tanto da ospitare il loro museo) ma residenza nel mondo. «Io sono nato a Firenze - racconta - mio fratello ad Ancona, mia mamma a Pavia, mio figlio a Cattolica, mia figlia a Legnano...».

Maggi come i colleghi delle sessanta attrazioni schierate al luna park dalle parti del Campus: il divertimento altrui per mestiere e la stessa vita come giostra. Oggi qua, domani là, abitanti di una città con le ruote che si divide e si ricompone a seconda di feste e tradizioni. San Giuseppe per lui significa Parma. «Mentre novembre, dicembre e gennaio - spiega - significano piazza della Steccata con la giostra dei cavalli». Un classico che ammalia anche gli adulti: come i due principi azzurri che di recente hanno deciso di far salire in sella a un bianco destriero ruotante la fidanzata, per proporle le nozze.

Altra atmosfera rispetto al luna park in largo Simonini, regno di ragazzi che si spostano a frotte. È sabato, e le facce sono quelle dei weekend del centro. Tra loro, ovviamente, anche i bulletti o gli aspiranti tali, desiderosi di far valere la legge del più forte a scapito della legge vera e propria. Gli va male, da queste parti: pattuglie di giovani con la scritta Security sulla schiena fanno avanti e indietro tra le attrazioni, assestando sguardi ad hoc. Il resto, lo fa l'istinto di conservazione di chi riceve le occhiate ammonitrici. «Paghiamo otto persone, per garantire la sicurezza dei nostri ospiti - spiega Maggi -. Non è una spesa da poco, ma vogliamo che questo sia il luogo della tradizione, della festa, della fantasia, del gioco e della fiaba. Per la violenza non c'è posto».

A proposito di tradizione (senza riandare tra gli orsi): il papà di Mario, Celeste, veniva con la ruota panoramica in via Costituente e piazzale Kennedy. «A 14 anni - ricorda Maggi - ho cominciato a lavorare anch'io». La ruota, poi il labirinto di cristalli... E alla fine il Delirium, che proprio oggi (ieri per chi legge) compie 17 anni. Eppure sembra nuovo. «Lo revisiono ogni mattina» spiega, immune da sempre dall'idea di altre ipotesi di vita. Lui giostraio, la moglie Margherita idem. E così il figlio 38enne Josh, al suo fianco nel gabbiotto-biglietteria. La figlia Kendall (originale l'esistenza, originali i nomi), a sua volta sposata con un giostraio, è in un luna park in un'altra piazza. Ai tempi di Mario, per la scuola dell'obbligo i ragazzi venivano affidati ai collegi. Ora si va di scuola in scuola, compensando con lezioni private. «È oneroso. E complicato, come è stato trovare un asilo a Parma per il mio nipotino di cinque anni: abbiamo dovuto girarne 12... Ma ne vale la pena. Vuoi mettere essere all'aria aperta, liberi? Anche spostarsi è bello». Specie se lo fai con l'intera casa, con un trasloco che dura un paio d'ore alla partenza e altrettante all'arrivo, quando ci si riassesta. E non si parli di camper. I giostrai chiamano «carovana» il semirimorchio lungo 16 metri e largo 2,55, che aperto diventa 18 per 6,50. Più grande e confortevole della maggior parte delle abitazioni con fondamenta.

«Certo, non è facile - commenta Paolo Grandi, titolare del Booster e del Big Bamboo -. Più che un mestiere il nostro è uno stile di vita. E la cosa più bella è sentirsi parte di una comunità. Non a caso quasi sempre ci sposiamo tra noi e continuiamo sulle orme dei nostri genitori». Che a lui hanno anche voluto dare una scelta. «Mi hanno obbligato a studiare - sorride Grandi - ma io non sono nemmeno mai stato tentato dall'idea di fare altro». Così, il diploma da perito industriale gli serve per dare del tu alla maggior parte dei pezzi che compongono le sue giostre («non macchine, ma parti della nostra vita» sottolinea): da controllare e coccolare ogni giorno.

Ci si sposa tra giostrai. E il sedentario che ne sposa uno «divorzia» dalla vita precedente. «Mia mamma Loretta - spiega Marina Fiori, titolare di un tiro a segno - aveva i calcinculo. Mio padre Pietro s'innamorò di lei sulla giostra e abbandonò il lavoro di carrozziere per mettere su famiglia». Mai pentito.

Entrambi figli d'arte sono Flavio Carletti e Savina Casarini, tre figli (tutti a loro volta giostrai) e sei nipoti. La loro casa viaggiante, parcheggiata allo scambiatore Ovest - accanto a quella che ospita la decana della famiglia, 87enne sempre circondata dai suoi cari - è come si diceva. Salone, cucina, due camere e due bagni, entrambi con doccia, pavimento (a parquet) riscaldato, a una parete un televisore da 75 pollici. «L'idromassaggio? L'avevamo nella carovana precedente» spiega Carletti, originario di Poggio Rusco, con residenza a Spilamberto («Ho una casella: ci vado ogni mese per la posta» dice) e pronipote del vicentino Zamperla che, partito dai pugnometri, è diventato uno dei costruttori di giostre primi nel mondo.

«La nonna - racconta - era del circo, il nonno aveva un cinema viaggiante». Una famiglia con il fuoco sotto le suole. I genitori, dopo aver gestito un tiro a segno da luna park, avevano provato a fermarsi. «E io sono ripartito con una sala giochi itinerante». Dopo la quinta elementare e il diploma alla scuola della strada. Sa guidare il trasporto eccezionale della sua casa, sa verniciare le giostre, saldare e riparare le parti elettriche. Una cosa vorrebbe aggiustare, se potesse. «Vorrei cancellare i pregiudizi sulla categoria. Ho la fedina pulita, ho fatto il militare, un mio nonno è disperso in Africa in guerra. Siamo gente onesta che lavora duro e non avrebbe nemmeno il tempo di andare a rubare, come si dice, confondendoci con altri». Uno sguardo all'orologio, e Carletti smette i panni del nonno. C'è da dare il cambio ai figli all'Otto volante e al Supertreno veloce. La serata è bella, domani chissà: che siano altri giri di giostra, fino a quando si può.

Roberto Longoni