VARANO MELEGARI
Riviana, il sogno dell'acqua buona e dello sviluppo
Tutto ebbe inizio con l’osservazione di mucche e buoi al pascolo che preferivano abbeverarsi a una fonte del monte Riviano rispetto alle acque del rio Boccolo e del torrente Ceno.
Ad osservare l’insolita abitudine dei bovini fu Silvio Leonardi, negli anni ‘50. Da quell’intuizione nacque l’idea di fare analizzare le acque della sorgente dalle peculiarità salutari per avviare la prima attività industriale di Varano Melegari, nel 1965.
I ricordi degli anni che hanno preceduto l’apertura della «Riviana» sono raccolti nell’archivio di Giorgio Meneghetti, il «Pacio», che nelle prossime settimane pubblicherà nel secondo volume di «Artaj».
La Riviana è stata la fabbrica di Varano Melegari, per tanti la prima occupazione o l’alternativa allo studio durante l’estate. L’apertura della fabbrica di imbottigliamento dell’acqua incarnava, all’epoca della ripresa economica italiana, il sogno del lavoro dipendente, al riparo dalle intemperie. In breve, il lavoro a contratto e lo stipendio sicuro diventarono anche a Varano una realtà, con l’obiettivo di frenare la fuga degli abitanti, in cerca di una sicurezza economica sulla quale costruire il proprio futuro.
Fu Emilio Leonardi a fare analizzare la qualità dell’acqua all’Università di Parma. I dati geoidrologici, microbiologici, chimico-fisici e clinico-terapeutici, confermarono che le fonti del monte Riviano erano di elevata qualità, l’acqua era catalogata fra le alcaline pure, pochissime in Italia. Il suo uso, si legge in un articolo del 1959, «può giovare ai malati di stomaco (gastriti e ulcere gastroduodeniti), di fegato (colicisti) e dell’intestino (facilita la digestione aumentando il flusso biliare) oltre che di calcolosi renale e epatica; a ciò si aggiunga l’azione diuretica».
Tutto era ormai pronto, il dottor Leonardi, l’impresario Guerrino Gabelli e l’impresario Parizzi decisero di dar vita a una società ed impiantare a Varano una fabbrica d’imbottigliamento.
Nel 1962 si avviarono i lavori con lo sbancamento e la costruzione dello stabilimento, affidato all’impresa Parizzi, in località Compiano, alla vista del castello Pallavicino. La scoperta della qualità delle sorgenti aveva dato inizio all’abitudine di tanti varanesi di rifornirsi di acqua «salutare» con fiaschi e bottiglie, quando ancora si usava l’acqua del pozzo o del rubinetto (acquedotto comunale), al massimo arricchita con le polverine di Vichy o dell’Idrolitina per renderla frizzante.
Successivamente, dopo i buoi e le mucche, anche i maiali scelsero l’acqua delle fonti di Cavanda, sotto Riviano, per abbeverarsi, scongiurando, da quel momento in poi, anche malattie suine.
Il 26 giugno del 1965, alla presenza del vescovo monsignor Evasio Colli, delle autorità e di Gianni Barilla, ci fu l’inaugurazione della fabbrica. Da quel momento in avanti molti varanesi negli anni Settanta trascorsero qualche periodo al lavoro nella catena dell’imbottigliamento; chi alle cassette, chi ai lavaggi, chi al magazzino, chi in ufficio.
La produzione, si legge nella testimonianza di Naires Restiani, pubblicata nel libro dedicato al «lavoro» a cura della Proloco di Varano Melegari, «aumentò dopo qualche anno, quando oltre all’acqua si preparavano le spume, la cedrata, l’aranciata, la limonata, il ginger, la spuma bionda e la spuma nera».
Dopo il momento di fulgore, la «Riviana» fu acquistata dalla Bognanco e poi da Ciarrapico, «Sembrava che ci volesse far diventare chissà cosa - prosegue la testimonianza di Naires nel libro della Proloco - e po’, invece, al l’ha sarèda». Il sogno industriale della fabbrica di imbottigliamento dell’acqua Riviana si dissolse venticinque anni dopo.
Valentino Straser