INTERVISTA

Il rapper Malakooda: «Ecco il mio nuovo Ep»

Lo scorso 7 marzo è uscito «Blue beam», Ep di sei tracce del rapper parmigiano Malakooda, pubblicato per l’etichetta Ciao Proprio di Milano e ispirato dal trattato cospirazionistico del teorico canadese Serge Monast «Project Blue Beam»; pubblicato nel 1994, teorizza un «Nuovo Ordine Mondiale» creato dallemassonerie con le Nazioni Unite allo scopo di riunire le popolazioni in un’unica religione e quindi rendere il mondo più facilmente governabile. In linea con questa ispirazione, «Blue Beam» è un lavoro cupo, dalle ritmiche serrate e suoni sporchi, quasi meccanici e si stacca dalle atmosfere del precedente album «Gifted» del 2022: «Gifted – spiega Pietro Bonati (vero nome di Malakooda) – era la chiusura di una sorta di trilogia molto autoreferenziale, atteggiamento tipico dell’hip hop. Ho poi sentito il bisogno di un progetto con una connotazione anche socio-politica più impegnata, con una nuova sonorità molto identitaria. Con questo EP volevo proprio dare un’impronta a livello di estetica, di scrittura e di sonorità molto più specifica».

Da quali contenuti sei partito?

«Il fattore religioso è sempre stato una componente ricorrente nei miei progetti e a questo giro l’ho voluto ampliare dandogli una prospettiva più sociale, anche a costo di sembrare sacrilego ma sempre con rispetto. Ci sono poi tematiche politiche e qualche spaccato sociale attuale».

Che vita avrà questo Ep, al di là della pubblicazione sulle piattaforme online?

«Io sarei il primo sostenitore di una vendita fisica, ma per ora prevediamo di mantenerlo digitale. Ormai, alle major e alle grandi testate interessa solo l’interazione; abbiamo avuto tante occasioni di interfacciarci con realtà di prestigio, ma spesso abbiamo dovuto verificare quanti follower avessi. A me piace sempre creare occasioni di interazione con le persone in dinamiche il più interessanti possibili. Prima della pubblicazione, infatti, c’è stato però il silent party sotto il monastero di San Giovanni, che è stata una cosa assolutamente inedita e strettamente legata al prodotto».

Cosa diresti a chi non ha mai ascoltato questo genere per incuriosirlo sul tuo lavoro?

«Penso che ogni generazione abbia i propri codici e i propri linguaggi, ma questa distinzione di generazioni è un fattore di scarsa comprensione che credo sia anche piuttosto naturale ed organica. L’ascolto potrebbe diminuire la paura incombente che si ha delle nuove generazioni, perché è vero che nel rap i testi spesso hanno una connotazione piuttosto violenta, però immortala un momento sociale difficile. Ci sono tante realtà giovanili che non hanno margine per esprimersi e lo manifestano con con la più classica delle rabbia. Io, e come me sono in tanti, scrivo per raccontarmi, per condividere le nostre abitudini, le nostre visioni del mondo, le nostre visioni degli adulti stessi. L’insofferenza spesso matura perché c’è poca comprensione per questa differenza di linguaggi. Mi metto nell’ottica di mio nonno: quando prova ad ascoltarmi lo vedo che fa fatica, anche se vorrebbe potermi dire “che bello”, però calarsi quantomeno nella visione dei più giovani può essere importante per la comprensione di tutta la società, di tutto l’andamento mondiale attuale».

Pierangelo Pettenati