Addio a Fausto Paglia
La «Gazzetta» perde un pezzo di cuore
Ci sono persone che lasciano un'impronta, una luce perenne nel luogo che per anni è stato la loro casa. Per Fausto Paglia quel luogo era un giornale - sì, proprio la nostra «Gazzetta» - e anche se nessun lettore ha mai visto il suo nome in calce a un articolo o la sua faccia bonaria balenare da uno schermo sgranando le notizie del giorno, di certo un lungo e denso pezzo di storia di questo giornale, Fausto, ha potuto scriverlo e lasciarcelo in eredità.
E adesso che se n'è andato per sempre, a 81 anni - con quella riservatezza innata di chi cammina nel mondo in punta di piedi ma sa bene quale sia il suo posto - raccontare Fausto diventa un'urgenza. Un saluto gonfio di nostalgia per chi l'ha avuto come compagno di lavoro, un regalo per quelli che sono venuti dopo e scopriranno qualche scintilla della sua anima speciale.
Chi era Fausto Paglia, per noi innanzitutto: per quasi trent'anni al timone della segreteria di redazione della «Gazzetta di Parma», quell'avamposto che è la stanza dei bottoni di ogni quotidiano, dove tutti vanno a bussare. A chiedere qualcosa.
«Fausto, mi trovi la foto del sindaco che stringe la mano al senatore tal dei tali?», «Fausto, mi servono i precedenti di tutte le rapine di quest'anno».
Non ti faceva aspettare mai troppo. Sapeva sempre dove andare a infilare le mani: tra le montagne di foto e di ritagli di giornale conservati religiosamente dentro grandi buste bianche in una confusione soltanto apparente, in realtà tutto catalogato secondo un ordine rigoroso che guai a scompaginare.
Va detto, prima di andare avanti: il mondo di carta in cui il segretario di redazione Paglia si muoveva con disinvoltura sapiente non esiste più da un pezzo. A quei tempi c'erano le macchine da scrivere, nonnine ticchettanti dei pc.
Ancora lontani anni luce gli archivi digitali, dove basta un clic e ti si squaderna davanti tutto quel che cerchi e anche molto, troppo di più. Gli articoli, i giornalisti inviati e i corrispondenti, li dettavano a braccio per telefono. E chi c'era in redazione, pronto e veloce a trascrivere fedelmente ogni virgola, compresi i sospiri? Il dimafonista (parola che risuonerà oscura ai più), ovvero Fausto Paglia.
«Per me è stato come un figlio», ricorda commosso Bruno Castelli, che di anni ne ha 97 e anche lui ha legato la sua vita a filo doppio alla Gazzetta. «La leggo tutti giorni, sempre alle quattro del mattino sul mio telefonino», dice Castelli che manda giù un po' di magone e comincia a pescare tra i ricordi di una memoria prodigiosa: «Io sono stato assunto nel 1957, perché il giornale aveva bisogno di uno stenografo. Poi man mano in ufficio abbiamo allargato le mansioni, la Gazzetta stava diventando grande, vendeva sempre più copie. C'era la necessità di creare una vera segreteria, nel periodo in cui stavano arrivando i primi registratori».
E così arrivò anche Fausto Paglia. «Era stato assunto come impiegato, non sapeva scrivere a macchina e mi diceva con stupore “ma fa tutto lei”. Gli ho insegnato ogni cosa ed è diventato bravissimo. Scriveva a macchina con dieci dita. I corrispondenti dettavano i pezzi e lui li batteva. Veloce, precisissimo. Insieme abbiamo creato l'archivio, tutto suddiviso nei vari settori: la politica, gli interni esteri, lo sport...».
Era un quotidiano da pionieri, in cui l'artigianalità miscelata alla fantasia creavano quel quid che nessuna intelligenza artificiale potrà mai sfiorare.
Ma c'è qualcos'altro che ha reso Fausto Paglia un compagno di strada che non si dimentica. «Eravamo una famiglia, anche se lui si è sempre rifiutato di darmi del tu - sospira Castelli - e Fausto aveva un carattere scherzoso, simpatico, gentile con chiunque».
Quella gentilezza se la ricordano bene anche tutti quelli che sono venuti dopo - i giornalisti e i collaboratori, abituati ad affacciarsi sulla porta a vetri di Paglia. Soprattutto i più giovani e acerbi, che si avventuravano lungo il corridoio della sede di via Emilio Casa con un misto di timore e soggezione che solo la spinta di chi vuole a tutti i costi fare questo mestiere riusciva a mitigare. Incrociare durante quelle faticose «traversate» il sorriso di Fausto, la sua chioma grigia che pareva spazzolata dal vento, vederlo fermarsi volentieri per darti retta, era una bella boccata d'aria. Incoraggiante come una pacca sulla spalla, «anche tu ce la puoi fare».
«Fausto è stato un collaboratore prezioso per tanti anni - appunta con un po' di fatica Luciano Pecorari, ex vice direttore della Gazzetta - ma mi preme dire che per me era anche un amico. Tra noi non c'era quel distacco che generalmente si instaura tra chi in un giornale ricopre mansioni diverse. Fausto era una spalla formidabile che riusciva a risolvere ogni problema, se c'era lui riuscivi sempre ad ottenere le informazioni che cercavi. Affabile, generoso. Una persona speciale».
«Mio padre voleva andarsene senza cerimonie e noi così abbiamo fatto - sussurra la figlia Sonia - siete stati anche voi la sua famiglia ed è questo che conta. Cos'era per noi? Un grandissimo papà, un grande nonno e un grande marito».
Laura Frugoni
I giornalisti, i dipendenti di ieri e di oggi e tutta la famiglia della «Gazzetta» ricordano commossi il lungo tratto di strada percorso al fianco di Fausto Paglia. Il suo rigore, le capacità professionali, la straordinaria umanità. Un abbraccio ai suoi cari da tutti noi.