INTERVISTA
Il cardinale Zuppi: «La guerra si ferma vincendo i pregiudizi»
Eminenza, parliamo di un tema di crescente rilevanza in molte città italiane: l’aumento di povertà e diseguaglianze. In una città ricca come Parma, nel 2024 le due mense cittadine (Caritas e Padre Lino dei Francescani) hanno distribuito quasi 140.000 pasti! Perché continuano a crescere povertà e diseguaglianze?
«Perché l'ascensore sociale funziona molto in discesa e poco per salire. La tendenza non è nuova, è in corso da diversi anni e ci sono molti dati che la confermano. Peraltro la consapevolezza del fenomeno dovrebbe provocare delle scelte, aiutare a formulare delle terapie per migliorare la situazione. Terapie che dovrebbero essere il più possibile condivise, coinvolgere tutte le componenti del paese. L’aspetto più preoccupante è che diseguaglianze e povertà si stanno cronicizzando. In altre parole ci siamo abituati. È quindi urgente fare scelte, rimettere in funzione l'ascensione sociale, a cominciare dall'educazione e dalla formazione, e soprattutto è necessario dare a tutti la chiave dell'ascensore. Altrimenti molti ragazzi continueranno ad andare altrove».
Nella Laudato si’, Papa Francesco ci mette in guarda dalla «cultura dello scarto», che – dice il Pontefice – trasforma la “nostra casa, in un immenso deposito di immondizia”. Ma il concetto va al di là dell’aspetto ambientale. Perché, come ricorda il Papa, la cultura dello scarto produce - con uguale facilità - rifiuti ambientali e scarti umani. Da dove viene la cultura dello scarto?
«Viene da un modello di vita irreale, deformato, per cui si pensa che la vita sia il consumo, sia il benessere individuale. Un tale modello non prevede la fragilità e la sofferenza, considerate come qualcosa di estraneo, esclude la morte dalla dimensione quotidiana della vita. Ma la verità è che non è possibile capire la vita senza misurarsi con la morte. Un aspetto curioso è il fatto che tutti noi tendiamo a guardare a questo problema dall’esterno, convinti che non saremo vittime della cultura dello scarto, che non saremo noi gli scartati e gli emarginati. Ma il rischio c’è per tutti. Basta davvero poco».
Cosa fare allora?
«Coltiviamo un'altra idea di vita, che parta dalla fragilità, dal riconoscere la debolezza, con quello che comporta. Umiltà, vicinanza, protezione non devono essere considerate inutili, ma l'unica via. Capire che siamo sulla stessa barca e tutti fragili ci aiuta a comprendere qual è la vera forza».
Il Papa parla anche di «crescita in equità». E ricorda che «la crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga». (Messaggio del Santo Padre al World Economic Forum di Davos, 21 gennaio 2014).
«La crescita economica non va demonizzata. È utile e necessaria. L’importante è che di questa crescita possano beneficiare tutti e che sia impresa e non speculazione, volatile, disumana. Se questo non accade aumentano le diseguaglianze e le tensioni sociali diventano difficili da gestire. Ma non c’è necessariamente contraddizione tra crescita ed equità».
Parma è la sede della Pia Società di San Francesco Saverio per le Missioni Esteri (missionari Saveriani) che fu fondata dall’Arcivescovo Guido Maria Conforti, nato nel parmense, beatificato nel 1996 e proclamato santo da papa Benedetto XVI nel 2011. Per i Saveriani la missione è dialogo con le diverse culture. Cosa significa fare i missionari oggi?
«Significa innanzitutto sentirsi parte del mondo. Questo può sembrare difficile nel momento storico in cui viviamo, sempre più caratterizzato dalla tentazione di alzare mura, chiudere porte, installare recinti. La paura davvero non é una buona consigliera e spesso rende ignoranti o fa cercare soluzioni che fanno male. Tutti siamo preoccupati per la sicurezza. E' un tema importante. Per questo dobbiamo capire come affrontarlo. Un grande aiuto può arrivare da quella grande grammatica, quel abecedario della casa comune e della fraternità universale che è l’enciclica Fratelli Tutti di Papa Francesco. Essere tutti missionari significa che il destino è comune, che l'io senza il noi non vive, perché la casa è comune ed è una sola. Essere missionari vuol dire pensarsi fin da adesso fratello di tutti e lavorare perché sia possibile essere fratelli tutti».
Nel 2024 l’Emilia-Romagna era la regione con la più alta incidenza di cittadini stranieri (oltre 575mila cioè quasi il 13% del totale, prima della Lombardia con poco più del 12%). Considerando solo i cittadini extra-UE l'incidenza era del 10%. La provincia di Parma con oltre 70mila stranieri residenti su una popolazione complessiva di circa 460mila persone ha la quota più alta (oltre il 15%, seguita da Piacenza e Modena). In più occasioni Lei ha ribadito che la posizione della Chiesa non è quella di un «dentro tutti» e nemmeno un «fuori tutti», piuttosto è un “si devono salvare tutti”. Come si imbocca questa strada?
«Il punto fermo è che se c’è qualcuno in pericolo lo devo salvare. Se non lo faccio è omissione di soccorso. Se pensiamo ai barconi carichi di immigrati che affondano nel Mediterraneo, intervenire in soccorso di chi rischia la vita è quello che prevede la legge del mare ed è una questione di umanità. Detto questo, quando si parla di immigrazione è anche importante uscire dalla logica emergenziale che inevitabilmente alimenta la paura, aumenta il senso di insicurezza, fa perdere lucidità nei ragionamenti, e impedisce di fare una riflessione complessiva e di pensare anche al futuro. E solo una visione del futuro ci può aiutare a superare i problemi. I flussi migratori costituiscono per l’Europa anche un’opportunità, soprattutto in termini di offerta di lavoro e di sostegno al sistema previdenziale. Quante aziende non trovano operai? Come può reggere il sistema pensionistico con il progressivo invecchiamento della popolazione? Per cogliere queste opportunità non basta l’accoglienza ma è necessario favorire l’integrazione di chi arriva. D’altra parte è necessario anche cercare di aiutare potenziali migranti nei loro paesi di origine. Il Piano Mattei per l'Africa è un progetto interessante in questo senso».
Negli ultimi anni vi è stato un forte aumento del numero di conflitti nel mondo. Papa Francesco ha parlato di «terza guerra mondiale a pezzi». È ciò che sta accadendo?
«Il Papa ha più volte sottolineato che non stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti bensì un periodo di cambiamenti di epoca. Per comprendere ciò che sta accadendo servono nuovi schemi interpretativi. Nel nuovo mondo sembra prevalere la legge del più forte a scapito della cooperazione internazionale. Per questo il numero di conflitti nel mondo è cresciuto moltissimo negli ultimi anni e il rischio è che la “terza guerra mondiale a pezzi” possa diventare una sola guerra».
Parliamo della missione per la pace in Ucraina che Papa Francesco Le ha affidato. Lei ha incontrato i leader dei principali paesi coinvolti e ha concentrato la missione su aspetti umanitari, cioè lo scambio di prigionieri e soprattutto la restituzione dei bambini ucraini deportati in Russia durante il conflitto. Ci sono stati risultati che ci possono dare speranza?
«Sì. Nonostante la guerra il dialogo diretto e indiretto tra la parti, con la garanzia della Santa Sede, ha consentito di verificare che è possibile fare progressi su questi due fronti, che c'è volontà di aiutare i ricongiungimenti familiari e di continuare nello scambio dei prigionieri e dei feriti, nel rispetto della persona. Qualche risultato concreto c’è stato. Ci auguriamo che questo continui e aumenti. E soprattutto speriamo che arrivi quanto prima il cessate il fuoco e che si interrompa questa macchina di morte che è la guerra».
Sembra vi siano due diverse visioni all’interno della Chiesa su come affrontare il futuro: una visione di apertura e dialogo e una più identitaria. Per la prima la Chiesa deve essere più attrattiva e più vicina alle scelte delle persone. Come ha detto il Papa nella Chiesa «c’è spazio per tutti» che siano «giovani e vecchi, sani e malati, giusti e peccatori: tutti, tutti, tutti». Per la seconda la Chiesa deve resistere, serrare le fila, essere pronta allo scontro per difendere la verità, guardare all’interno più che all’esterno.Come convivono queste due visioni del futuro? Quale prevale? Amore o verità?
«Queste due visioni non possono non stare insieme. Sono assolutamente complementari e necessarie l'una all'altra. Papa Benedetto XVI lo aveva chiarito molto bene ricordando che la verità senza l'amore perderebbe il suo senso stesso perché la verità si rivela nell'amore. Nell'amore di Gesù. D’altra parte, anche l'amore senza la verità rischia di essere soltanto epidermico, di ridursi a un'esperienza soltanto umana, si impoverisce, non mostra cosa contiene per davvero. Quindi amore e verità non possono essere contrapposti. Talvolta facciamo più fatica a capire la verità nell'amore e come la verità porta l'amore. Tuttavia, soltanto nell’insieme esse possono vivere».
Viviamo un’epoca di grande incertezza in cui è riemersa prepotentemente la fragilità dell’uomo. La crisi economico-finanziaria del 2008 ha messo a nudo alcune fragilità del nostro modello di crescita. Le guerre hanno messo a nudo la fragilità della pace. La pandemia ha messo ha reso evidente la fragilità dell’uomo. Grazie al progresso tecnologico ci sentivamo quasi invincibili. E invece abbiamo riscoperto quanti anziani soli ci sono e siamo tornati a parlare di morte. Scoprire la fragilità genera ansia, incertezza, paura.
«La consapevolezza della fragilità - sia in termini personali sia quella della convivenza - ci può dare forza. La fragilità ci aiuta a capire cos'è davvero la forza. Perché sentirsi fragili spinge a cercare ciò che è davvero importante, ridimensiona la tentazione dell’affermazione di sé, del protagonismo dell’uomo che pensa di essere se stesso facendosi Dio. E’ una storia che finisce sempre male, per l'uomo. Dobbiamo crescere nel rispetto, nella cura della persona, nella vicinanza. Ma l'uomo ha la memoria corta. L’esperienza tragica della pandemia e le lezioni che ci ha dato sembrano dimenticate. E quando finirà la guerra dimenticheremo anche quella. Cercando di evitare la guerra in Iraq, Papa Giovanni Paolo II ricordava che siamo dei sopravvissuti. E che se si perde questa consapevolezza, se non ci si interroga sui comportamenti errati, allora è inevitabile ripetere gli errori del passato. Il modo in cui l’umanità sta giocando con la guerra, con le armi ma anche con le minacce nucleari, fa pensare che ci siamo dimenticati di essere dei sopravvissuti. Fa pensare che non abbiamo imparato nulla dai nostri tragici errori. La generazione che era uscita dalla seconda guerra mondiale lo sapeva bene: la terza sarebbe stata l'ultima. Non è più vero? Papa Francesco ha affermato più volte che non c'è nulla di peggio che non saper trarre delle lezioni dai propri errori. Dobbiamo sapere scegliere in tempo, non arrivarci per necessità! Quanti morti servono per capire che non bisogna fare la guerra, ma solo la pace? E' da ingenui credere che possiamo trovare i mezzi per comporre i conflitti senza la guerra, che poi uccide tutti? Non é l'unico realismo per non mettere in pericolo tutto? La guerra si ferma prima, costruendo la pace, la conoscenza, l'incontro tra le persone e i popoli, vincendo l'odio e i pregiudizi».