Truffa della targa clonata

«Così i carabinieri ci hanno salvato»

Roberto Longoni

Tono professionale e deciso: chi chiamava si è presentato come maggiore dell'Arma (aggiungendo nome e cognome, ovviamente inventati). Era quasi mezzogiorno di giovedì e lo sconosciuto ha raccontato che in una rapina a un'oreficeria era stata segnalata una targa identica a quella della loro auto. «Di certo è clonata - ha aggiunto l'”ufficiale” - ma si deve indagare». Tutto sapeva: della targa sigle e numeri (oltre al modello dell'auto), della famiglia indirizzi e identità dei componenti. Ha concluso con un ordine, al figlio e al padre, un professionista settantenne: «Dovete sporgere denuncia. Andate in via delle Fonderie e aspettate fuori, fino a che non arriva la pattuglia». Il maggiore, la caserma, la pattuglia: a furia di essere evocati, i carabinieri sono intervenuti. Rapidi e precisi: il manovratore della scena è rimasto a bocca asciutta, mentre il suo uomo sul campo, un 38enne napoletano, è stato arrestato. Fatale l'ingordigia: puntava ai gioielli tenuti nella cassetta di sicurezza e alla fine, perso quanto già arraffato, ha guadagnato un paio di manette.

Questa è nuova. E rischia di fare ancora più danni della truffa classica basata sulla telefonata del «maresciallo» (o dell'«avvocato») che s'inventa la storia del parente responsabile di un incidente e a rischio del carcere, se non si consegnano subito contanti e gioielli a una «persona di fiducia». Qui il canovaccio è diverso: lo scopo iniziale è far sì che nelle casa da «svuotare» resti una persona sola: più facile da abbindolare.

Così è stato per la madre (professionista a sua volta) del giovane che aveva ricevuto la prima telefonata, «invitato» ad andare in via delle Fonderie con il padre. I due sono sempre stati tenuti al telefono. «È il protocollo a esigerlo» diceva il truffatore, chiamando ora l'uno ora l'altro, chiedendo anche di essere avvisato quando fossero quasi arrivati. «Così - racconta il professionista - gli ho detto quando eravamo all'altezza della stazione. “Bene - ha risposto - ora mando fuori il piantone”». Che però non è mai uscito. «Anzi, il “maggiore”, quasi ci vedesse, ci ha chiesto di togliere l'auto dalle righe gialle di via delle Fonderie. Tutti escamotage per guadagnare tempo». Come l'invenzione della Punto blu in viaggio dalla Motorizzazione civile con i documenti per le verifiche. «Prima doveva arrivare entro otto minuti, poi era bloccata in via Pellico: il percorso per via delle Fonderie era congruo». Tuttavia, con lo scorrere del tempo i sospetti crescevano. E, dopo una ventina di minuti, approfittando del fatto che l'«ufficiale» era al telefono con il figlio, contravvenendo agli ordini di chi gli aveva raccomandato di stare fuori, il professionista è entrato in caserma e ha chiesto del maggiore... «Mai sentito - mi ha risposto il piantone -. Perché me lo chiede?». Era la svolta. Messo subito a fuoco la situazione, il piantone ha avvisato i colleghi. «Su consiglio di un maresciallo, ho chiamato casa. Nessuna risposta al fisso, occupato il cellulare di mia moglie...». A quel punto, senza far trapelare nulla, ma scortati dalle gazzelle dell'Arma, il professionista e il figlio si sono precipitati a casa, dalle parti del Tardini. L'appartamento era in ordine, ma la signora non c'era.

«Ero davanti alla banca in centro, in attesa della riapertura - racconta lei -. Da me si era presentato il “perito della Procura”, per fotografare e “repertare” i gioielli trovati in casa: dovevano verificare che non corrispondessero alla refurtiva della rapina». A inviare il “perito”, ancora una volta il «maggiore» al telefono, che aveva chiamato anche la donna. «Il perito si è presentato con tanto di macchina fotografica e, raccolti i gioielli, mi ha chiesto se ci fosse altro. “Le cose più belle sono in banca” gli ho risposto. Mi ha chiesto di andare a ritirarle». Erano le 14,10: la professionista era in attesa davanti alla banca chiusa e anche il tizio era in zona. I carabinieri del Nucleo operativo hanno impiegato pochi minuti a individuarlo. Sulla sua auto hanno anche recuperato il bottino della truffa «casalinga»: gioielli e 300 euro. Il 38enne è comparso ieri davanti al giudice Alessandro Conti e al pm Massimiliano Sicilia. Confermato l'arresto, per lui sono stati disposti i domiciliari a Napoli. Verrà processato l'8 aprile. Ma una sentenza è già stata emessa dalla coppia che ha rischiato di essere sua vittima: «I carabinieri sono stati bravissimi. Dal punto di vista professionale e umano. Hanno dimostrato grandi capacità, non li ringrazieremo mai abbastanza».

Roberto Longoni