Teatro Regio
Roberta Mantegna sarà Mimì nella «Bohème»: «Sogno un uomo come Rodolfo»
È facile intervistare Roberta Mantegna: ha il dono della simpatia e dell'empatia che conserva anche in questi giorni di concentrazione, in cui si prepara a indossare i panni un po' «vintage» di Mimì nella «Bohème» di Puccini, terzo titolo della stagione lirica del Regio. Venerdì il debutto.
La cantante palermitana, 37 anni, voce da soprano avviata al canto nell'età tenera delle Voci Bianche del Teatro Massimo (la mamma era insegnante di pianoforte, la casa vibrava di studenti e musica), è la protagonista di questa nuova produzione firmata da Marialuisa Bafunno, vincitrice del bando per team creativi Under 35. Riccardo Bisatti dirige la Filarmonica di Parma, la Banda degli allievi del Conservatorio Peri-Merulo, il Coro del Teatro Regio preparato da Martino Faggiani e il Coro di voci bianche del Regio preparato da Massimo Fiocchi Malaspina.
Per Mantegna è un ritorno a Parma: «Un piacevole ritorno, nella nostra vita un po' nomade è bello avere dei luoghi che sono punti di riferimento per la piacevolezza delle relazioni che si instaurano», dice. Il pubblico del Regio l'ha applaudita nel «Trouvère» (2020), nel «Simon Boccanegra» (2022) e nella «Messa da Requiem» (2024). Tornerà al Festival Verdi 2025, Alice nel «Falstaff». Tutti ruoli verdiani.
Tanto Verdi: com'è cantare Puccini ora?
«Al momento è il Puccini più congeniale a me: le uniche cose sue che ho fatto finora sono state “Bohème” e “Le Villi”. È una ventata d'aria fresca; un'opera molto dinamica, corale. È la versione pucciniana del “Falstaff”, più intensa emotivamente però».
In un cast giovane, lei è il nome di punta. Come si sta trovando?
«Sono più vecchia sia della regista che del direttore (ride, ndr). In opere come questa, l'amalgama umano è quasi più importante di quello musicale. Ci si deve divertire in palcoscenico per poter far passare le emozioni della storia, quelle più leggere e quelle più dolorose. Bisogna essere molto coesi come gruppo e qui lo siamo».
Del resto «La Bohème» è un manifesto generazionale: nella Parigi del 1830 nasce l'amore tra Rodolfo, poeta, e Mimì, sullo sfondo della vita “bohémienne” di un gruppo di giovani artisti, pieni di sogni...
«Mimi è una donna emancipata, riesce a vivere ricamando fiori che però ovviamente non hanno profumo, di cui parla con una punta di nostalgia, quasi il simbolo della sua malattia. Quando incontra Rodolfo e i suoi amici, Marcello, Colline e Schaunard, sente un desiderio di vita forte; questi giovani le danno quella spinta vitale che le manca, sia perché la tisi sta avanzando, sia perché l'emancipazione la porta spesso a stare sola, a ricamare».
Mimì, per carattere, è più introversa dell'amica Musetta.
«Sì, sicuramente. In questa produzione Mimì e Rodolfo sono anche personaggi un po' “vintage”, nei ricordi di Rodolfo anziano. È una produzione orientata alla modernità, però Mimi e Rodolfo sono “old style” nelle passioni: la poesia, la scrittura, la fotografia analogica. Lo si vede negli oggetti che usano, la macchina da scrivere, la macchina fotografica; tutti gli altri sono calati nella modernità, usano gli smartphone».
Dal punto di vista musicale, in quali punti si deve concentrare maggiormente?
«Il primo e il terzo quadro sono quelli più impegnativi vocalmente. Nel primo c'è la difficoltà di rompere il ghiaccio: le arie più conosciute, il duetto con Rodolfo; nel terzo e nel quarto quadro la difficoltà diventa gestire l'emozione più che la tecnica».
In che senso?
«Si entra nel vivo del dramma: i due innamorati si lasciano, Mimì capisce che la malattia si aggrava; occorre gestire i colpi di tosse scritti da Puccini, tra una frase cantata e l'altra: devono essere realistici ma non devono compromettere il canto. Poi ci sono molti momenti, tra il terzo e il quarto atto, in cui effettivamente entrando in quello che canto mi commuovo perché penso a me stessa, alla mia vita, alle mie delusioni d'amore, alle speranze infrante. Anche il collega Atalla Ayan è un Rodolfo molto gentile, molto nella parte, con un'attenzione a Mimì che ogni tanto mi fa dire "Caspita, ecco l'amore che vorrei nella mia vita". È il problema di noi artisti, che abbiamo esempi molto alti nella musica...».
Allora le auguriamo davvero di trovare un Rodolfo, senza i risvolti negativi della «Bohème». E per la sua carriera?
«Devo dire che per il resto è un momento buono, sereno, anche nella carriera. Una riflessione che non riguarda solo me: vorrei ci fossero più investimenti sulla cultura da parte della politica, sento che siamo un poco fuori rotta come umanità in questo momento storico».
Mara Pedrabissi