Intervista
Fubini: «Trump non centrerà i suoi obiettivi»
Federico Fubini, qual è la vera ragione per cui Trump ha deciso di imporre dazi pesantissimi a tutto il mondo?
«Ce ne sono diverse. La prima è quella che lo stesso Trump ha spiegato: cercare di riportare gli investimenti industriali negli Stati Uniti. Imponendo dazi abbastanza elevati e dando l'impressione che siano duraturi, o addirittura permanenti, l’obiettivo è spingere le imprese dal resto del mondo ad affrontare la scelta – costosa e comunque non immediata, ma di lungo termine – di trasferire impianti produttivi negli Stati Uniti. Poi c’è il tentativo di avere un’autonomia strategica rispetto alla Cina nella produzione di alcuni dei beni industriali di base, in caso di un acuirsi della rivalità e potenzialmente di un conflitto con la stessa Cina, per non dover dipendere dalle forniture industriali di paesi terzi e tanto meno dalle forniture cinesi. E poi c’è una terza ragione: cercare, con questa arma negoziale, di spingere altri paesi ad accordi grazie ai quali gli altri paesi si impegnano a finanziare il deficit pubblico americano nel medio e lungo periodo. Sono tre obiettivi non necessariamente compatibili, ma tutti presenti nelle riflessioni dell'amministrazione americana».
Lei pensa che Trump centrerà gli obiettivi, o la sua mossa si rivelerà un danno per tutti?
«Molto probabilmente non ci riuscirà. Per cominciare, molte produzioni sono più convenienti in luoghi che non sono gli Stati Uniti, o addirittura sono possibili solo altrove. Il Paese è in piena occupazione, non è chiaro quale potrebbe essere la manodopera, anche alla luce della politica contro gli immigrati e della oggettiva mancanza di alcune specializzazioni».
Cosa prevede che accadrà?
«Il primo rischio, molto concreto, che Trump corre è generare molta inflazione, rendere la sua amministrazione fortemente impopolare e generare una rivolta anche politica. In più, distrugge la credibilità dell’amministrazione americana nel mondo, anche con gli alleati storici degli Stati Uniti».
Era prevedibile che le Borse andassero a picco?
«Sì, era prevedibile e stavano già andando male nei giorni precedenti l’annuncio, nel timore di quello che poi sarebbe potuto accadere. Poi Trump è andato più in là rispetto a quello che quasi tutti avevano previsto e c’è stata una nuova, forte caduta, in seguito ulteriormente appesantita dall’annuncio della ritorsione cinese, che è stata molto decisa, più di quanto ci si potesse aspettare e in tempi più rapidi del previsto».
A proposito di Cina: in un editoriale pubblicato nei giorni scorsi sul «Corriere» ha spiegato che la Cina sta strizzando l’occhio all’Europa, offrendo una pace commerciale in funzione anti Usa, scommettendo sulla paura che attraversa tutto il Vecchio continente.
«È evidente che in Europa c'è una discussione sull’ipotesi di cercare la Cina come potenziale alternativa. Ma ci sono due problemi. Uno è che il mercato di consumo cinese è veramente piccolo: l'economia è molto grande, però molti dei beni di investimento dei cinesi sono prodotti in Cina e il mercato si sta ulteriormente restringendo. Quindi sarebbe una strada rischiosa da percorrere. E poi, questa scelta implicherebbe un’apertura reciproca, e questo sarebbe ancora più rischioso: perché la Cina sta salendo sempre di più nella scala di sofisticazione industriale, e questo potrebbe significare di vedere spazzata via l'intera industria dell’automobile in Europa, e lo stesso potrebbe accadere ad altri settori, dai macchinari utensili a quelli medici, e in futuro anche agli aerei».
Che contromisure per difendersi dai dazi si augura da parte dell’Unione Europea?
«Facendo un discorso puramente razionale, dal punto di vista economico l’ideale sarebbe non fare nulla e aspettare una reazione politica negli Stati Uniti che porti a una normalizzazione. Questo vale solo in teoria, perché un'azione come quella di Trump, da parte di un Paese alleato, è quasi un atto di guerra economica e politicamente è impossibile non reagire; e anche perché restare fermi vorrebbe dire dare alla controparte un segnale di debolezza tale da stimolare nuovi attacchi di questo tipo. E quindi una reazione ci sarà».
Quale, secondo lei?
«Vedremo. Bisogna considerare che probabilmente Trump diventerà molto impopolare in breve tempo: e questo potrebbe spingere l’Unione Europea a fare poche concessioni, varando misure abbastanza rigide, proprio puntando sul calo di consensi di Trump e sulle sue difficoltà politiche. La mia previsione è che l’Europa reagirà abbastanza in fretta, con due azioni: annunciando misure, di immediata applicazione, relativamente poco incisive, e altre, con entrata in vigore dopo qualche settimana o dopo uno o, massimo, due mesi, decisamente più pesanti – penso, per esempio, a misure sui servizi digitali –: questo per darsi il tempo per negoziare con Trump».
Quale strategia dovrebbe seguire Giorgia Meloni? Ha senso tentare una trattativa diretta con Trump? Ha scritto che l’imminente visita di Vance assomiglia a una trappola per provare a dividere e indebolire il fronte europeo. Aggiungendo che «crederci, per l’Italia, sarebbe come mettersi da sola un evitabile dazio in più».
«È abbastanza facile prevedere che gli americani cercheranno di dividere il fronte europeo, magari con offerte di accordi separati, più o meno espliciti. Ci stanno provando, ci proveranno: la visita di Vance va probabilmente anche letta in questa chiave. Se l’Italia accettasse qualcosa del genere avrebbe solo da perdere: sia perché, come abbiamo visto, gli Stati Uniti colpiscono nello stesso modo amici e nemici, senza guardare in faccia nessuno, sia perché l’Italia ha un surplus commerciale e quindi sarebbe oggetto di pressione perché, da sola, non potrebbe reggere. In più, se l’Italia dovesse fare accordi separati con l’amministrazione Trump, andrebbe incontro a una reazione negativa da parte degli altri Paesi europei, che non si fiderebbero più di noi e che potrebbero cercare di tagliarci fuori da altre partite. Quindi, mi sembra proprio una strada che non vale la pena di percorrere. Non dimentichiamo, poi, che si è visto bene come Trump possa prendere impegni e fare delle promesse per poi rimangiarsele molto rapidamente».
A medio e lungo termine, teme che la mossa di Trump frenerà la crescita ovunque?
«Molto dipenderà dai negoziati delle prossime settimane e dei prossimi mesi e dalle misure di ritorsione che saranno decise. Se lo stress di Borsa si rifletterà negativamente su un certo numero di imprese anche negli Stati Uniti, l’impatto sulla crescita potrà essere anche molto superiore a quello “meccanico”. In altre parole, se ci sarà una sorta di disgelo o se si troverà una soluzione nelle prossime settimane l’impatto sulla crescita potrebbe essere attutito. Ma se questa crisi dovesse prolungarsi, l’effetto potrebbe essere molto peggiore».
Claudio Rinaldi