Intervista
James Conlon a Busseto: «Nelle Terre Verdiane con l'Orchestra di Muti, emozione doppia»
È festa grande a Busseto per il ritorno dell’Orchestra giovanile Cherubini che domenica alle 18, suonerà nel Teatro Verdi due sinfonie; la Prima di Felix Mendelsshon Bartholdy e la Quinta di Ludwig van Beethoven. Due pilastri del romanticismo tedesco: il primo è un lavoro pressoché sconosciuto al grande pubblico, il secondo invece è conosciutissimo anche da chi sia ignaro di sinfonismo: le 4 note iniziali sono entrate nell’immaginario sonoro di tutti, quel «Sol Sol Sol Mi», rappresenterebbe, secondo la spiegazione più semplice, il destino che bussa alla porta, o comunque un annuncio definitivo.
Per fortuna, il concerto sarà nelle mani e nella bacchetta di un musicista colto e raffinato come James Conlon, settantacinquenne americano di New York, dal prodigioso curriculum internazionale. Uno dei direttori d’orchestra dal repertorio più vasto: e sinfonico e operistico. Che per la prima volta dirige a Busseto.
Emozionato?
«Molto, moltissimo. Anche se Busseto è già stata la meta di due miei pellegrinaggi verdiani, le Roncole, Sant’Agata, Casa Barezzi e il bellissimo teatro, dalla storia così particolare, oggetto di polemica tra Verdi e Busseto. Un’emozione doppia, quella di domenica: dirigere a Busseto con la Cherubini, la splendida orchestra giovanile fondata dal Maestro Riccardo Muti».
Eseguirà due lavori sinfonici, uno dei quali quasi sconosciuto al grande pubblico. Perché questa scelta? (ma diciamocelo tra di noi sottovoce, il perché della scelta. Per non alimentare un provincialismo nefasto che vuole che a Busseto si suonino soltanto le opere di Verdi. ndr)
«Essendo un concerto sinfonico, insieme alla direzione artistica abbiamo optato per la Prima sinfonia di un Mendelsshon giovanissimo. Un compositore di grande fascino e maestria eccelsa. E il Beethoven più popolare insieme alla Nona, cioè la Quinta, famosa nel mondo con il suo incipit titanico che scolpisce qualcosa di misterioso con il suo “Sol - Sol -Sol - Mi’’».
Lei ha già diretto la Cherubini. Come si è trovato?
«Benissimo, sono tutti giovani sotto i trent’anni, è bello vederli crescere, curiosi, disciplinati e attenti. Uno dei ricordi più belli è la Trilogia dapontiana eseguita a Spoleto per il Festival. I ragazzi hanno sempre fatto onore a Mozart e al maestro Muti».
Lei sognava di diventare tenore o baritono: invece nel 1972, il grande Thomas Schippers diede forfait e lei, ventunenne, venne scelto come sostituto. Come andarono le cose?
«Il maestro Schippers stava provando la Bohème da allestire nella Juilliard School a New York, ma dovette cancellare l’impegno. Il direttore della scuola mi chiamò, dieci giorni prima dell’andata in scena dell’opera. Mi disse che Maria Callas, la quale insegnava alla Juilliard School, mi aveva visto dirigere una prova d’orchestra. E che la “grandissima” gli aveva consigliato di affidarsi a me. Una cosa stupefacente, della quale sarò sempre grato. Iniziò da lì, con un viatico così prestigioso, la mia carriera».
Nel 1974 diventò il più giovane direttore della New York Philarmonic Orchestra e nel 1976 esordì al Metropolitan, il leggendario «Met», sul podio del quale diresse quasi trecento volte. L’esordio fu con «Il flauto magico» di Mozart. In quello stesso anno debuttò nel suo primo Verdi, l’«Otello»: forse un azzardo per un giovane direttore?
«Non direi, no. Azzardo è una parola che andrebbe bandita, quando si parla di musica. Si tratta di studiare molto a fondo la partitura del compositore, a fondo e per molto tempo. Una volta che ci si sente pronti, ci si mette a disposizione dell’autore, cercando soltanto di essergli fedele. Un lavoro e uno studio profondi. Tutto fuorché un azzardo».
Il suo curriculum operistico è impressionante. Nel 1977 «Bohème» con la Scotto, Domingo e Van Dam. Nel ’78, «Tosca», con José Carreras, poi la «Traviata». Nel ’79 «Carmen» e «Aida» con Fiorenza Cossotto. Debutta al Covent Garden di Londra con «Don Carlos», con Bruson e Chrisstoff. «Il flauto magico», il «Simon Boccanegra»; poi sarà la volta di «Cavalleria rusticana» e «Pagliacci», con un cast da sogno: Vickers e Cappuccilli. Gli anni Novanta non sono da meno: «Lohengrin», «Le nozze di Figaro», la «Traviata», «Carmen», «Tristano e Isotta», «I racconti di Hoffmann», «Falstaff», «Nabucco», «Don Chisciotte», «Macbeth» con Leo Nucci, «Rusalka», «Boris Godunov», il «Wozzek», il «Trovatore», «Salomè», «Le nozze di Figaro», «L’Olandese volante», «Jenufa», la «Lady Macbeth del Distretto di Mcensk», «Peter Grimes», i «Dialoghi delle Carmelitane», «Un ballo in mashera», «La dannazione di Faust» e «Rigoletto».
Per non parlare dell’intensissima attività sinfonica, a capo di tutte le più grandi orchestre, dalla Scala alla Fenice, dall’Orchestra nazionale di Francia al Maggio musicale di Firenze, dalla New York Sinfony alla Toscanini di Parma.
E con sensibilità notevole dirige spesso i lavori di musicisti morti o perseguitati durante la Shoah. Raffinato musicista dalla curiosità inesausta, ha in repertorio preziosità come la Sinfonia Dante di Liszt. Meritevole pertanto il riconoscimento di Cavaliere della Repubblica Italiana, consegnatogli dal residente Mattarella nonché quello della Legion d’onore francese.