Intervista con Gian Antonio Stella

Quando «l'orda» dei migranti eravamo noi italiani, parmensi compresi

Giuseppe Milano

Oggi alle 18,30 al Palazzo del Governatore

«Parlare oggi di emigrazione è un modo per ricordare anche Bergoglio. Francesco è stato forse il Papa che ha parlato in assoluto di più di questo tema perché era figlio di emigranti. Non erano emigranti poverissimi, perché il papà di Francesco aveva lavorato all'allora Banca d'Italia, era quindi in qualche modo un privilegiato, però se ne andò, come se ne andarono moltissimi italiani, inseguendo il sogno di un futuro migliore. L'Italia da cui partivano era un paese povero, era un'Italia che oggi tanti vogliono rimuovere, dimenticare. Papa Francesco invece ha sempre descritto quell'Italia, che conosceva bene, con le parole giuste». Parte da qui Gian Antonio Stella parlando di emigrazione. Un tema a lui molto caro, sia come editorialista del Corriere della Sera che come scrittore. Il suo libro «L'orda. Quando gli albanesi eravamo noi» è da più di 20 anni costantemente fra i best seller italiani più venduti. Un saggio, scrive l'autore, che non è altro che «il racconto di noi stessi», anche se «di tutta la storia della nostra immigrazione abbiamo tenuto solo un pezzo», quello di coloro «che ci hanno inorgoglito, che grazie alla serenità guadagnata con il raggiungimento del benessere non ci hanno fatto pesare l'ottuso e indecente silenzio dal quale sono sempre stati accompagnati», quando eravamo, scrive senza fronzoli, «la feccia del pianeta. Venivamo martellati da campagne di stampa indecenti che ci dipingevano come “una maledetta razza di assassini”». Insomma i nostri nonni non «erano molto diversi dai curdi o dai cingalesi che sbarcano sulle nostre coste».

na lotta per un futuro migliore che Gian Antonio Stella tornerà oggi a raccontare a Parma, assieme al direttore della Gazzetta Claudio Rinaldi, in occasione della presentazione del libro «Do you speak pramzàn?», «storie di emigrazione che hanno caratterizzato le vostre terre - racconta Stella -perché dentro l'Italia povera c'era anche la montagna parmense, che era ancora più povera».

Storie che lei ha amato.
«Ci sono libri straordinari che hanno raccontato queste vicende, come quelli di Marco Forcella, in particolare “Con arte e con inganno”. C'era anche una filastrocca che i vecchi parmensi ricordano che diceva “Con l'arte e con l'inganno si vive mezzo anno, con l'inganno e con l'arte si vive l'altra parte”, un detto che riassume l'emigrazione che partiva dagli appennini a cavallo fra Liguria, Toscana e Emilia. Terre dei “birbanti”, quelli che andavano a guadagnare la “birba”, dal francese “bribe”, facendo anche delle finte collette, travestiti da prete, raccontando che i soldi raccolti sarebbero serviti per salvare i poveri prigionieri cristiani detenuti nelle mani dei turchi musulmani».

E c'erano gli Orsanti.
«Quelli che giravano tutta Europa, approdando anche in Turchia e Persia, guadagnandosi il pane con gli orsi ammaestrati e con le scimmie “col culo rosso”. E che allora venivano definiti, né più e né meno, come oggi indichiamo con disprezzo gli zingari. Uno dei più famosi girovaghi dell'epoca, come li chiamavano i fascisti con l'accento sulla a, era parmense: quel Bartolomeo Corti, immortalato in una fotografia con un berretto che grondava di campanelli, una fisarmonica tra le braccia e un'intera batteria sulla schiena che manovrava con un complicato marchingegno. Una foto famosissima, strepitosa, che dà bene l'idea di cosa fosse l'emigrazione parmense».

Emigrazione, ovviamente, poverissima.
«E anche piena di morti. Qualche mese fa l'ho ricordato in un articolo sul Corriere. Parlavo della campagna, a mio avviso stupidissima, del presidente della provincia di Trento per abbattere gli orsi perché c'era stato il caso di una persona uccisa sulle montagne. Io avevo ricordato come l'ultimo italiano rimasto ucciso, prima di questo caso, risaliva addirittura a metà '800 ed era un certo Bernardo Dallara, detto “Bagolone”, di Compiano. Era tornato a casa dalle sue migrazioni e, come sempre capitava allora, si era ubriacato dimenticandosi di andare a dar da mangiare ai suoi orsi. Così mezzo ubriaco quando era entrato nella stalla era stato subito assalito».

Ma perché, come scrive nel suo libro, c'è questa rimozione del passato e la contemporanea mitizzazione dell'emigrazione italiana?
«Faccio sempre l'esempio del Veneto dove l'arrivo della ricchezza è stato accompagnato ad una sorta di rimozione di tutto. Se gli americani si vantano di essere nati poveri, Trump escluso, i veneti, e gli italiani in generale, se ne vergognano. Hanno rimosso quella storia e hanno rimosso spesso anche il dialetto che l'accompagnava. La maggior vergogna è essere assomigliati a quelli che adesso sono poveri e che vengono qui da noi a chiedere ospitalità. È un meccanismo che fa parte di tutte le storie delle migrazioni. I penultimi, in genere, se la prendono con gli ultimi. È sempre stato così».

Non tutti però hanno dimenticato. Penso alla vicenda dell'Arandora Star, al naufragio che nel 1940 uccise tanta gente partita dalla nostra montagna.
«Certamente. E sono tanti quelli che hanno perso la vita nei naufragi, come succede anche oggi. C'è anche la storia di Aldo Beccarelli, meccanico di Grifola di Borgotaro, che scampa al disastro dell'Andrea Doria partendo all'ultimo momento con un'altra nave. Una storia simile l'ha vissuta anche Papa Francesco che ha raccontato ad un giornale argentino come i suoi familiari arrivarono dal Piemonte in Sudamerica a bordo della nave Giulio Cesare ma, cito lo stesso Bergoglio, “avrebbero potuto viaggiare su una traversata precedente, con il principessa Mafalda, che colò a picco. Lei non immagina quante volte ho ringraziato la Divina Provvidenza”. Episodi che vanno ricordati per far comprendere cosa significava allora partire».

Anche questa esperienza diretta spiega perché il Papa sia sempre stato attento al tema dell’accoglienza ai migranti. Atteggiamento ben diverso da quello della politica, Trump in primis.
«Nonostante venga anche lui da una storia di clandestinità. Trump è figlio di un americano nato in America, ma il nonno era emigrato illegalmente dalla Germania. Perché come sanno anche i sassi, tranne i razzisti stranieri e italiani che non studiano la storia, quasi tutti i paesi di emigrazione avevano in certe fasi storiche delle leggi che cercavano di trattenere le persone in grado di lavorare. C'erano delle restrizioni anche nel dopoguerra in Italia; vorrei ricordare, ad esempio, il film “Il cammino della speranza” di Pietro Germi che racconta la storia di un gruppo di siciliani che vengono arrestati alla stazione Termini di Roma perché non hanno il permesso di espatrio. C'era una legge simile anche in Germania, tanto che il nonno di Trump, quando ritornò in Europa una volta diventato ricco, fu arrestato perché non aveva fatto la naia. E gli fu negata anche la richiesta di riavere la cittadinanza tedesca. Voglio dire che persino Trump viene da una vicenda di immigrazione illegale. Ma quando tu te ne “fotti” della storia e vuoi raccontarla come piace a te, cosa che fa tutti i giorni Trump, ovviamente di queste cose non ti preoccupi».

Giuseppe Milano

Oggi alle 18,30
Stella e Rinaldi presentano «Do you speak pramzàn?»

Oggi alle 18,30 Gian Antonio Stella sarà
a Palazzo del Governatore per raccontare, assieme all'autore, il direttore della Gazzetta di Parma Claudio Rinaldi,
alcune storie da romanzo
dei migranti delle terre parmensi, raccolte nel libro
«Do you speak pramzàn».
All'incontro, a ingresso libero, sarà presente anche il vicesindaco Lorenzo Lavagetto.