Fontanellato
Tanti auguri, Labirinto! Dieci anni di incontri, ospiti e visioni
Il Labirinto della Masone compie dieci anni. Dieci anni da quando una visione – quella di Franco Maria Ricci – si è fatta spazio reale, architettura, meraviglia. Era un sogno fuori scala, un progetto che sembrava impossibile: costruire il più grande labirinto del mondo, in bambù, in mezzo alla campagna emiliana, e trasformarlo in un luogo di arte, cultura e contemplazione.
Oggi si può davvero dire che quella sfida è stata vinta. E che ciò che ne è nato non è solo un complesso monumentale di rara bellezza, ma un luogo dell’anima che ha saputo accogliere artisti, pensatori, visitatori da ogni parte del mondo. Un centro vivo, fatto di incontri e invenzioni, che ha mantenuto intatta l’ambizione originaria: sorprendere, ispirare, lasciare il segno.
Del Labirinto, in questi anni, ha parlato tutto il mondo: servizi fotografici, copertine, reportage sulle riviste più prestigiose, da AD a Vogue, da Architectural Digest a Le Monde, da Wallpaper al New York Times. Un’eco internazionale nata non solo dalla straordinaria bellezza del luogo, ma dalla forza di una visione coerente, riconoscibile, irripetibile: un progetto che non somiglia a nulla, se non a se stesso.
Il 28 maggio 2015 fu il giorno dell’inaugurazione ufficiale: una festa memorabile. C’erano Gualtiero Marchesi, Vittorio Sgarbi, amici, artisti, collezionisti, accorsi a celebrare l’apertura di un luogo che prometteva di cambiare il volto culturale della bassa parmense, e non solo. La curiosità era alle stelle, lo stupore palpabile. Ma chi ha partecipato a quella serata non era stato il primo a varcare il cancello. Il 26 maggio, per volontà di Ricci, i fontanellatesi erano stati invitati a scoprire il nuovo giardino-museo. Un gesto anche simbolico, per costruire un ponte con la comunità.
«All’inizio c’era chi temeva che il Labirinto avrebbe “rubato” visitatori alla Rocca – ha ricordato Laura Casalis Ricci –. In realtà si è potenziato tutto il turismo: il Labirinto non ha tolto nulla, ha aggiunto. Ha portato curiosità, attenzione, presenze». A confermare l’effetto positivo, ci sono i numeri: in meno di dieci anni, il Labirinto si sta avvicinando al traguardo del milione di visitatori, senza contare giornalisti, ospiti istituzionali e delegazioni culturali.
E se coniugare perfezione formale e invenzione continua è la cifra distintiva di tutto ciò che porta la firma di Ricci, il Labirinto ne è la summa. «Nel bookshop avevo dipinto righe rosse e bianche con una certa proporzione, ma dovetti rifarle tutte: Franco voleva la riga rossa da 21 cm esatti, e quella bianca da 17 e mezzo. Non un millimetro di più, non uno di meno – ha rivelato Maddalena Casalis, decoratrice di tutti gli spazi -. Decorare gli interni è stata un’impresa nel tempo. Ogni mostra ha portato con sé un nuovo colore, una nuova atmosfera. Per coprire un blu acceso abbiamo dato sei mani di giallo. E sotto c’erano già strati di rosso, oro, verde, sabbia… Ogni parete racconta la sua stratificazione, come una tela che si riscrive». La mostra dedicata a Sergio Hernández e poi a Javier Marín è uno degli esempi più rappresentativi della vocazione dinamica del museo. «In quei giorni, stavamo cercando di contattare Javier Marín per una possibile esposizione futura – racconta Laura Casalis -. Nel frattempo era in corso la mostra di Hernández e l’artista stava dipingendo un murale. All’improvviso, tra i visitatori, spuntò proprio Marín. Si presentò qui senza preavviso, entrò nella corte, vide Hernández all’opera, si salutarono con calore e rimasero a parlare a lungo. A quel punto non c’erano più dubbi: la mostra si sarebbe fatta». Da quell’incontro inatteso nacque un’esposizione straordinaria, con il celebre cavallo rosso alto sei metri a dominare lo spazio.
Ma in dieci anni, l’immenso spazio verde è stato anche la cornice di eventi privati e spettacoli capaci di richiamare pubblico anche dall’estero. «Alcuni sono stati difficilissimi da organizzare, ma bellissimi da vivere. Penso a “Finis Mundi” – sottolinea Edoardo Pepino, nipote di Ricci e direttore del Labirinto -, agli esperimenti tra musica e filosofia, alle rassegne costruite con le università, alle performance sotto le stelle. Abbiamo visto crescere anche nuovi format, come “Lost”, capaci di attrarre un pubblico internazionale giovane, creativo, sensibile al connubio tra natura e suono e che hanno fatto del Labirinto un laboratorio contemporaneo a cielo aperto, trasformando la notte in esperienza culturale immersiva».
E poi, naturalmente, il pubblico. Internazionale, curioso, spesso affezionato. Dall’arrivo di Orhan Pamuk, che trascorse qui i primi giorni di luna di miele e lasciò una dedica – poi misteriosamente trafugata dal libro degli ospiti – alle visite di grandi collezionisti, passando per ospiti più eccentrici. Oggi, mentre alcune varietà di bambù entrano nella loro rara e naturale fioritura, segnando la fine del ciclo vitale, si aprono nuove sfide. Il Labirinto guarda al futuro con idee ambiziose. «Abbiamo un rustico da recuperare, un progetto già approvato - spiega Laura Casalis Ricci -. Mi piacerebbe trasformarlo in una scuola per insegnare a lavorare il bambù. È un materiale con potenzialità enormi, ma in Europa manca una vera filiera. Potrebbe nascere qui».
Nel frattempo, la struttura continua a crescere con la stessa cura artigianale di sempre. «Abbiamo costruito un’identità solida, senza smettere mai di sperimentare – conclude Maddalena -. Qui tutto cambia senza mai perdere coerenza. È un posto dove pensi di aver finito qualcosa, e invece stai solo cominciando». Buon compleanno, Labirinto. E avanti, ancora una volta, verso nuovi sentieri. Di bambù.
Chiara De Carli