INTERVISTA

Crepet: «Educare i giovani togliendo il superfluo»

Luca Molinari

Educare i giovani avendo il coraggio di dire «No» quando serve, farli crescere togliendo il superfluo ed abituandoli al rispetto delle regole.

È composta da pochi, ma significativi ingredienti, la ricetta educativa dello psichiatra Paolo Crepet.

Come si educano i giovani d'oggi? Lei parla spesso dell'importanza di togliere

«La strategia del togliere è indispensabile. Lo si è compreso quando abbiamo iniziato a dare ai nostri giovani cose assolutamente non necessarie. In quel momento è cominciata la discesa del desiderio e con essa un tragico calo delle ambizioni. I ragazzi si fanno bastare ciò che c'è. Questo è terribile perché basato su un falso: non è vero che quello che offriamo è sufficiente per vivere una vita vera. Gli effetti nefasti di questo modo di educare sono sotto gli occhi di tutti».

Parma, come tante altre città, deve fare i conti col problema delle baby gang. Come si può affrontare?

«Il cambio del modo di relazionarsi origina anche fenomeni come questo, accompagnato dalla mancanza di regole. Mi spiego: se va sempre bene tutto allora bisogna aspettarsi di tutto. Non possiamo accettare che un ragazzo o una ragazza di 14-15 anni facciano serata, bevendo e usando sostanze, per poi finire in ospedale. Rischiamo di creare degli orfani sociali. Recentemente ho seguito il caso di Firenze, emblematico, perché tredicenni e quattordicenni girano pure con i coltelli in tasca. In un contesto del genere allora è normale avere paura. Soprattutto se chi gira con un coltello magari prima si è bevuto un camion di roba e gira con qualcosina in tasca. Non dobbiamo stupirci allora se una signora non esce più la sera per farsi due passi e ha paura anche a portar fuori il proprio cane. Il rischio è che si creino città della paura, anziché del sorriso e delle relazioni».

Come si declina nel concreto la strategia del togliere in questa complessa situazione?

«Se qualcuno pensa che rispetto a quarant'anni fa il cervello nel frattempo è cambiato, si è modificato, deve dimostrarmelo. Per me è esattamente la stessa cosa di quando io avevo 13 anni. Non siamo cambiati da questo punto di vista: anch'io avrei voluto uscire fino a tardi la sera, ma fino a una certa età mi è stato proibito. Mi è stato anche spiegato che determinate cose non era giusto farle. Non capisco allora perché adesso va bene tutto, perché un ragazzino deve tornare alle tre di notte. Perché così fan tutti? Mi sembra una cretinata. Una volta una signora, tentando di giustificare determinati comportamenti, mi ha detto: “Perché lei da giovane non l'ha mai fatto?”. Non riesco a comprendere questa mentalità per la quale bisogna aver fatto tutto per essere alla pari degli altri».

Qual è il futuro delle relazioni?

«La ricetta per costruire le relazioni future bisogna ricercarla nel passato, partendo dall'attenzione verso gli altri e dal dialogo quotidiano».

Può fare qualche esempio?

«Quando voglio comprare un buon prosciutto vado da uno di cui mi fido e per fidarmi lo devo guardare in faccia e poter dialogare con lui. Quello che ti offre il negozio, la bottega, non lo troverai mai nei centri commerciali, perché va ben oltre il semplice acquisto. Oggi puoi comprarti tutto con un telefonino, ma in realtà non ti puoi comprare niente di veramente importante, mi riferisco alle relazioni. Parma deve preservare questo tesoro, anche con determinate politiche locali e sostegni economici. Se non ci sono relazioni diventa tutto complicato. I centri commerciali creano l'anonimato: una persona vuole che il salumiere la saluti, la consigli, la conosca. Bisogna mettere un freno anche agli affitti brevi per non creare delle città dormitorio. Per esempio, se in un appartamento sopra una bottega ci stanno due ragazze della Nuova Zelanda che rimangono a Parma due notti e poi vanno da un'altra parte, che ci sia una bottega o un supermercato non cambia nulla. Se invece in quell'appartamento ci abita una signora di sessant'anni che sta a Parma da una vita e ha bisogno di fare determinati acquisti, di sentirsi ascoltata e capita, la presenza della bottega diventa fondamentale».

Guardare al passato non è un rischio?

«Il futuro è anche un ritorno al passato. Se non ridiamo spontaneità alla vita quotidiana rimarremo tutti soli e connessi».

Luca Molinari