Iraniani a Parma

«La guerra fa paura, ma il regime uccide come le bombe»

Giuseppe Milano

«In Iran abitano ancora mio papà, mio nipote di 14 anni, tanti altri parenti e molti amici. Lo so, sono sotto le bombe, ma laggiù la vita rischi di perderla tutti i giorni per colpa del regime. Ma c'è una grande differenza: ora si può sperare nella caduta della repubblica islamica». Per Mahi Tavabeghavami, senza mezzi termini, l'Iran sta vivendo «una guerra di liberazione».

Pensa questo dei bombardamenti israeliani che dal 13 giugno scorso colpiscono il suo paese. Presidentessa dell’associazione italopersiana, a Parma insegna pilates e da Teheran è dovuta fuggire nove anni fa quando, all'università, la polizia morale l'aveva fermata e torturata perché aveva partecipato alle proteste in piazza, senza indossare il velo. «Oggi abbiamo tutti paura. So bene che moriranno tante persone perché il regime non si farà scrupolo di usare degli scudi umani, ma mai come ora il potere degli ayatollah è in bilico». Eppure le notizie che arrivano in occidente parlano di una popolazione ricompattata attorno al regime... «Non credeteci, è tutta propaganda - replica Mahi Tavabeghavami - La polizia in strada è aumentata e si è fatta più dura la repressione proprio perché sanno di essere in pericolo. Hanno subito bloccato, una volta iniziati i bombardamenti, internet, cosa che fanno puntualmente da dieci anni quando monta la protesta. Ho sentito poco fa un mio amico, che è riuscito a collegarsi tramite un server estero, e mi ha confermato che sono ricominciati i cortei contro gli ayatollah. Si grida sempre di più contro il regime, non certo a favore».

Incredibile pensare che a liberare un popolo ci pensi il suo peggior nemico, Israele. «Poca importa chi sia - risponde sicura - Non si sono mossi con la diplomazia gli europei, non lo hanno fatto gli americani eppure in questi anni la dittatura ha ucciso, torturato, costretto tanti giovani all'esilio. Mia sorella faceva la giornalista e due anni fa l'hanno espulsa dall'Iran togliendole pure il figlio. Ora è qui a Parma con me e anche lei non dorme da quattro giorni per cercare di mettersi in contatto con lui».

Chi è riuscito a parlare con la sua famiglia in Iran è invece Ashkan Rostami, perito informatico, a Parma da dieci anni ed esponente in esilio del partito costituzionale iraniano. «Sono tutti spaventati e preoccupati per quello che potrebbe succedere - racconta - Vivono nella capitale e sentono bene le esplosioni, ma anche loro sanno che ora c'è la possibilità di un cambiamento. Ci sono ancora tante persone a favore del regime, speriamo che questa situazione li convinca che non si può andare avanti così».

I sentimenti di Mahi e Ashkan sono, raccontano, comuni a grande parte dei 250 iraniani che vivono nella nostra città. Il 90 per cento di loro sono studenti, arrivati nel nostro paese per completare gli studi. «Molti però decidono di rimanere anche dopo - spiegano - perché in Iran non c'è futuro». Masoud e Habib, studenti del nostro ateneo, pensano infatti di metter casa in Europa. I nomi, attenzione, sono di fantasia, scelti da loro, «perché dare la vera identità sarebbe troppo pericoloso per le nostre famiglie. In più ora c'è la guerra e i timori aumentano visto che il regime è in difficoltà».

«Il mondo sarà più bello senza gli ayatollah - dice sicuro Masoud - La repubblica islamica era ad un passo dalla bomba atomica, dà missili e droni ad Hamas, agli Hezbollah, per non parlare del sostegno ai talebani in Afghanistan. Se cadrà Ali Khamenei e i capi dell'esercito che sono con lui potrebbe tornare la pace in Medio Oriente». «Non amo Israele, a Gaza sta facendo un strage inutile- aggiunge Habib - ma il suo intervento in Iran è davvero l'ultima speranza che ci è rimasta per tornare ad essere liberi».

C'è però una voce fuori dal coro. È quella di, anche qui nome di fantasia, Sima, pure lei studentessa. «Per il mio popolo si stanno solo aggiungendo sofferenze a sofferenze. Non meritavamo queste bombe. Il regime? Non cadrà, vedrete che alla fine tutto rimarrà come prima».

Giuseppe Milano