Tutta Parma

Quando accanto alla Cittadella c'era un canale

Lorenzo Sartorio

Chi mai lo direbbe che in quello che è attualmente il quartiere più elegante della citta, il «Cittadella», scorresse un canale che, lambendo le mura della Cittadella, tagliava in due via Racagni e scorreva in via Pelacani?

Forse gli anziani ricorderanno ancora qualcosa anche perché il canale fu interrato nel 1953-1954 non lasciando più alcuna traccia ma facendo invece posto, negli anni seguenti, a tanti condomini impreziositi da spazi verdi.

Solo ricordi, dunque, di questo canale: ricordi belli di una città completamente diversa dall’ attuale dove la natura la faceva da padrona specie nelle zone a quei tempi periferiche come appunto la « Cittadella», ma anche brutti in quanto, in questo canale, proprio in via Pelacani, alla fine anni quaranta-inizi anni cinquanta, affogarono una bambina e la sua mamma che si era coraggiosamente gettata nelle acque per trarla in salvo.

Una notizia che riecheggiò con tutta la sua drammaticità, per anni, in città ed, ovviamente , in tutto il quartiere. Il canale della Cittadella veniva impropriamente chiamato «Naviglio Nuovo», era connesso sia alle bassure della Cittadella che alle mura farnesiane con relativi rampari in zona Petitot. In una planimetria, lo studioso Filippo Fontana del nostro Ateneo, evidenzia i segmenti del canale cosiddetto «Naviglio Nuovo». Tale cavo si origina dal «Canale Maggiore», nella sua deviazione presso Mariano e prosegue lungo l'asse di via Pastrengo per poi piegare, con uno scolo, verso il torrente dove sbuca all'altezza del seminario minore. Prosegue invece verso nord-est con una piccola canaletta di laminazione incontrando l'altro segmento che si origina fra via Viotti e Viale Pelacani e nasce a partire dal Settecento come canale perimurario che scorre e raccoglie scoli e acque meteoriche, lungo le mura farnesiane che, dalla

Cittadella, vanno verso i rampari del Petitot e quindi proseguono verso nord.

Oltrepassato il bastione, attualmente visibile presso il Duc, il cavo scolava nel vero «Naviglio», ovvero il canale in uscita dalla città lungo borgo del Naviglio e diretto verso Colorno. Altre preziose notizie sui canali parmigiani sono contenute in vari studi effettuati da altrettanti illustri come appunto Filippo Fontana e Giancarlo Gonizzi nel suo libro «La città delle acque» (Pps editore). La presenza del torrente Parma e del suo affluente Baganza ha costituito, fin dalla sua fondazione in epoca romana e nelle successive espansioni, un elemento caratteristico per la città: l’origine dei più antichi canali nel tessuto urbano risale addirittura al re goto Teodorico e, nel corso dei secoli, questi corsi d’acqua secondari si sono sviluppati proprio per la funzione, legata alle attività territoriali, che l’acqua ha sempre avuto. Parma, in epoca medievale, era attraversata da un gran numero di corsi d’acqua: canali primari e secondari, piccole canadelle, fossi di varia grandezza e semplici scoli, che formavano una fitta rete di percorsi che si intersecavano con le strade e le piazze della città.

L’acqua corrente era indispensabile per molteplici usi: per alimentare il fossato che circondava le mura, ma anche come forza motrice per i mulini e per i vari opifici (conciatori, cartolari, tintori), oltre che per le attività artigianali e manifatturiere (beccai, arte della lana); infine era utilizzata per lo smaltimento dei rifiuti e per l’irrigazione degli orti. In città, sulla sponda destra del torrente, nel cuore della città vecchia, due erano i più importanti corsi d’acqua: il canale «Maggiore» e il canale «Comune» che si univano presso porta Santa Maria e poi Porta Nuova, sulla strada dei Genovesi (oggi strada Farini) e si dividevano al «partitore», in prossimità di borgo del Becco o delle Rane (borgo Riccio da Parma). Il «Comune» che portava acqua ai due mulini del convento di Sant’Uldarico, situati nell’odierno vicolo dei Mulini e servendo i vicini opifici dei tintori ubicati laddove, nel 1770, sorse l’ Orto Botanico, percorreva borgo del Becco o delle Rane , raggiungeva quindi i mulini di strada San Quintino (strada XXII Luglio), ove si trova l’odierno borgo del Canale, proseguiva verso la chiesa di Santa Cristina, scorrendo poi per borgo Riolo (strada Cairoli), borgo Pipa e borgo Retto.

Dopo avere servito la Piazza del Duomo, il Battistero, il mulino del Vescovo, gli orti di San Giovanni, Piazza Grande (Piazza Garibaldi) e piazzale della Macina, verso l’inizio di borgo del Naviglio, nell’estremo limite nord-est della cinta muraria, i due canali si ricongiungevano per formarne uno solo che usciva dalla città: il «Naviglio» noto fin dal XII° secolo come idrovia per Coenzo e poi per Colorno, attraversando Paradigna, Cortile San Martino, Pizzolese e Gainago. Nell’oltretorrente il canale Cinghio, che entrava nell’abitato a porta San Francesco ( oggi Barriera Bixio) oltre ad una fonderia, una conceria e le seterie, muoveva tre mulini ( tra i quali quello di San Domenico) prima di attraversare il Parco Ducale e unirsi al canale «Galasso» a nord ovest del nucleo urbano.

A partire dal XVI° secolo il canale «Naviglio Taro», dopo avere attraversato Collecchiello, Vicofertile e Valera giungeva in città dove serviva le fontane ducali del Giardino e, nell’ottocento, la fabbrica delle maioliche Bormioli per poi confluire nel «Galasso» il quale, a sua volta, si immetteva nel torrente Parma a Colorno. Anche se non si trattava di un canale, di notevole importanza fu la «Fontana Valoria» che diede il nome a Borgo Valorio. La fontana, sorgeva a ridosso della chiesa di San Sepolcro e si rivelò essere, a quei tempi, strumento indispensabile per il funzionamento delle numerose macine presenti in zona.

«Ancora nell’ottocento - sottolinea Gonizzi- restava traccia di questa rete di canali che, creando angoli di rara suggestione, ispirarono i pennelli di alcuni artisti locali prima della definitiva scomparsa: Luigi Marchesi ( 1827-1862) rappresenta il Naviglio di Porta Santa Barnaba incuneato tra le case, prima della sua copertura, con una lavandaia al lavoro.

Ed ancora: un dipinto di Adelchi Venturini (1843-1901) anch’esso conservato nella Galleria Nazionale, mostra lo sbocco oltre le mura del Naviglio mentre Giuseppe Alinovi (1811-1848) in una tela, in collezione privata, ritrae Borgo del Naviglio con il canale, in parte coperto, in cui si specchiano le case ed il muraglione delle carceri di San Francesco». «Ora - conclude Gonizzi nel suo dotto saggio- tutta questa sapiente opera di canalizzazione urbana, anche se continua ad esistere, è scomparsa ai nostri occhi essendo stata coperta ma, a distanza di secoli, permangono a rammentarcela numerosi toponimi cittadini legati allo scorrere delle acque, quali appunto : borgo del Naviglio, vicolo dei Mulini, borgo del Canale, borgo delle Asse, borgo della Canadella ( attuale via Primo Groppi n.d.r.), i Mulini Bassi».

Lorenzo Sartorio