COLORNO
Assistenza Pubblica, molestò una giovane operatrice: volontario condannato a 1 anno e 6 mesi
Aveva vent'anni, Monica (la chiameremo così), in quel giorno di fine estate del 2020. Quasi otto mesi erano passati dall'inizio del suo servizio civile all'Assistenza pubblica di Colorno, in cui insieme ad altri operatori accompagnava chi aveva bisogno a fare visite e terapie. Lei, e al suo fianco sempre una persona alla guida di una piccola utilitaria. Autisti che si alternavano, e quel giorno era toccato a uno dei volontari di lunga data dell'associazione. Ma non era neppure la prima volta che Monica si trovava con lui in auto, ma in tutte le altre occasioni sarebbero stati presenti anche altri operatori. Quel 1 settembre, però, nel tragitto tra Colorno e Mezzani, il volontario avrebbe allungato una mano tra le gambe di Monica toccandole le parti intime. Finito sotto processo per violenza sessuale, l'uomo - oggi 76enne - è stato condannato a 1 anno e 6 mesi dal collegio presieduto da Alessandro Conti, che gli ha riconosciuto la forma lieve del reato di violenza sessuale. La pm Cecilia aveva chiesto tre mesi in meno. La pena è stata sospesa ed è stata concessa la non menzione nel casellario giudiziale. Alla ragazza, che si era costituita parte civile, è stato riconosciuto un risarcimento.
Volontario allora e tuttora tra i militi della Pubblica di Colorno. Che subito dopo il racconto della ragazza lo aveva allontanato, per poi reinserirlo. Anche se ora, alla luce della sentenza, non sono esclusi nuovi provvedimenti. «La decisione che abbiamo preso è stata difficile anche perché non era mai successo un fatto simile e perché ci sembrava impossibile conoscendolo», aveva riferito alla polizia l'allora coordinatrice dell'Assistenza pubblica illustrando il provvedimento che era stato adottato in quei primi giorni di settembre del 2020.
Era stata proprio alla coordinatrice che Monica aveva confessato il suo segreto: poche parole in un messaggio WhatsApp, perché non se l'era sentita di parlarle di persona, eppure aveva capito che era giusto rivelare ciò che era accaduto. «Non so se è successo solo a me», scrive alla coordinatrice: anche questa è la sua preoccupazione. E poi, sentita in questura, aveva spiegato: «Io gli dicevo di smetterla immediatamente e lui reagiva ritraendo subito la mano. Lui non mi chiedeva scusa, ma si preoccupava soltanto di farmi promettere di non dirlo nessuno all'Assistenza pubblica perché altrimenti lo avrebbero allontanato».
Monica si era chiusa nel silenzio per tutto il resto della giornata, poi la mattina successiva aveva scritto alla coordinatrice. Era stata lei, insieme all'allora presidente dell'associazione, a far sapere al padre di Monica ciò che era accaduto. E poco dopo era partita la denuncia.
Fino al processo. Combattuto. Con Monica che, seppure con qualche difficoltà, è stata ritenuta attendibile dal pm. Mentre poco credibile è stata valutata dall'accusa la versione del volontario che ha escluso qualunque tentativo di palpeggiamento, spiegando che inserendo la retromarcia avrebbe inavvertitamente urtato il ginocchio o la gamba della ragazza.
Da parte sua, la difesa, durante la discussione finale, ha cercato di mettere in dubbio la credibilità di Monica insistendo in modo particolare su una serie di sue fragilità che sarebbero state accertate e influirebbero pesantemente sulle sue capacità mnemoniche. Così come non sarebbe vero, a differenza di quanto sostenuto dalla ragazza, che lei e il volontario non si sarebbero mai più incontrati, visto che avrebbero partecipato alla cena sociale. «Questa istruttoria è connotata da dubbi», ha sottolineato la difesa davanti ai giudici.
Ma i giudici non hanno avuto dubbi. In attesa di un eventuale appello.
Georgia Azzali