Lutto

Vania Buzzini, la paladina dei più deboli

Michele Ceparano

«Vania è nata a Algeri, è cresciuta nel deserto, ha negli occhi ancora un po' di luce d'Africa. Ha vissuto a Parma e poi è partita verso Nord, è finita tra i bunkers di Falls road. Ha cantato ed ha bevuto con gli amici di Bob Sands, ora spilla Guinness all'Onirica, cucina per i matti e gli insegna a pitturare, gli sorride e loro le rispondono». Nell'incipit di «Grande famiglia», brano del 1996 dei Modena City Ramblers, c'è molto, anche se non tutto di lei. Perché descrivere compiutamente l'altruismo e la gioia di vivere di Vania Buzzini era davvero arduo anche per chi con le parole ci sapeva fare come il gruppo modenese. Parmigiana 58enne, conosciutissima in città e non solo, la donna che ha legato il suo nome e la sua esistenza a «vivere sul campo» il sociale che per lei coincideva con la difesa degli ultimi, l'ambiente e l'arte, fosse essa musica, poesia o teatro, è scomparsa domenica dopo una lunga malattia. Alla fine degli anni Ottanta Vania è, assieme a Michele Franzoni, per tutti «il Franzo», altro nome storico della Parma più solidale, tra i fondatori della cooperativa Avalon con la quale, come racconta il marito di Vania, l'attore Massimiliano Filoni, compagno di vita e palcoscenico, «si impegna dalla parte dei più deboli e per un mondo più giusto, contribuendo a rendere esperienze reali gli ideali di Franco Basaglia e della legge 180». Vania si dedica infatti come educatrice al «reinserimento sociale e lavorativo dei cosiddetti “folli”». In questo progetto mette, come sempre, la sua sensibilità e intelligenza, «affidandosi a metodi artistici come la pittura e la creazione di burattini in cartapesta».

In un'esistenza piena di valori e interessi, non trascura neppure la musica. Appassionata dell'Irlanda, della sua cultura e dei suoi conflitti, suona infatti bodhrán (il tamburo circolare tipico irlandese) e arpa celtica proprio con i Modena City Ramblers, che la omaggiano con un brano, appunto «Grande famiglia». Nel testo la raccontano ad Algeri, dove aveva vissuto al seguito della famiglia che si era trasferita in Africa per motivi di lavoro, nell'«Isola di smeraldo» scossa dalla guerra, ma anche nella nostra città, dove tantissimi la ricorderanno dietro il bancone dell'Onirica, locale mitico per una generazione di parmigiani, ancora con il «Franzo» e Aldo Piazza, prima in via Pasubio e poi all'ex Salamini. «Si è fatta conoscere anche a livello nazionale nel teatro sociale con spettacoli e laboratori - prosegue il marito -. Una sensibilità raffinata, un pensiero sempre originale e mai scontato hanno permesso a tantissimi di apprezzarla anche nelle vesti di autrice di haiku, componimenti in metrica tipici della poesia giapponese». Accanto a questa miriade di interessi, un altro ne tratteggia ulteriormente la personalità: l'amore per la natura e gli animali che la vide partecipare a ricerche e monitoraggi su specie come il lupo e il cervo volante. Una donna così non poteva, però, non innamorarsi della cultura dei nativi americani e, in particolare, del popolo Lakota. Anche in questa esperienza Vania si gettò anima e corpo, studiandone lingua, cultura e tradizioni e collaborando con l'associazione «Wambli Gleska».

«Amore, passione, intelligenza, impegno sociale e talento artistico - conclude Massimiliano -, questa era Vania». Il funerale di Vania - che lascia la mamma Alma, il marito Massimiliano, la sorella Paola, con Michele e Dimitri, e il fratello Michele, con Francesca e Leonardo - sarà celebrato domani alle 9 con la messa alla sala del commiato Ade in viale della Villetta 31/a. Sarà possibile, però, salutarla sempre alla sala del commiato anche oggi dalle 15 alle 17,30 e domani dalle 8 in avanti.

E quante storie e ricordi affolleranno in queste ore tristi la mente dei tantissimi che le hanno voluto bene perché Vania, come spiega il fratello Michele, «era accoglienza e aveva un sorriso sempre per tutti». Con lei «se ne va un pezzo della Grande Famiglia - ha scritto, infine, sulla sua pagina Facebook proprio “Cisco” Bellotti, storico componente dei Modena City Ramblers - e voglio ricordarti quando suonavi felice sul palco insieme a noi il tuo bodhran. Un abbraccio ovunque tu sia».

Michele Ceparano