L'omicidio 53 anni fa

Bonazzi e la sua verità: «Ho ucciso Mariano Lupo, ma non doveva succedere»

Paola Guatelli

Bonazzi si è pentito di quello che ha fatto?

Il senso di dispiacere e di colpa nei confronti di quello che è accaduto e della morte di Mariano Lupo ha pesato molto su di me, anche perché eravamo ragazzi. Io sul momento ero convinto che lui fosse solo ferito. E' stata una disgrazia, qualcosa che non doveva accadere: questo senza dubbio pesa. Nel momento in cui sono venuto a conoscenza che c'era un ragazzo morto, immediatamente è scattato il senso di responsabilità e di colpa. Tutto questo si può definire pentimento? Per me è così. Perché il peso di una colpa, anche se non voluta, c'è. Esiste.

Quindi la sua coscienza quel fatto non lo ha mai rimosso. Lei è padre di due figli e nonno, ha una famiglia: traguardi e felicità che sono stati negati a Mariano Lupo. Ci pensa?

Io ci penso spesso a Mariano Lupo, sento che potevo morire anche io in quel momento. Era un ragazzo come me, era uno matto, senz'altro come me. E purtroppo ha avuto la disgrazia di morire per mano mia. E' una cosa che non puoi dimenticare. No, la mia coscienza non l'ha mai rimosso.

I ragazzi non sanno più niente di cosa accadeva a Parma in quegli anni, ignorano i nomi di vittime e protagonisti. Concorda sulla proposta di dedicare una strada a Mario Lupo, come da più parti è stato richiesto?

Se una strada intitolata a Mariano Lupo può essere di monito a non scatenare la violenza allora sì, andrebbe molto bene, sarebbe giusto farlo. Per dire: guardate cosa è accaduto: la violenza ha portato alla morte di un ragazzo, una persona.

Torniamo indietro a quegli anni di odio e violenza. E all'assassinio di Lupo. Si è scritto che fu una morte annunciata.

Bisognerebbe entrare a livello psicologico in quell'epoca. A come eravamo noi.

Ci spieghi: come eravate?

Avevamo una carica emotiva fortissima e tanta rabbia. Erano passati 20 anni dalla fine della guerra, vicino a noi c'erano molti ex repubblichini, e dall'altra parte c'erano molti ex partigiani, come il Monello, il Dollarino, Dragoni. Li conoscevo quasi tutti. C'era una rivalità che sfociava quasi in una lotta strisciante, come una guerra civile del dopoguerra. Questo ci ha portato a una rivalità estremamente radicata, e quindi alla violenza. Che noi abbiamo spesso subìto. A Parma, a quell'epoca, quando noi ci muovevamo venivamo sempre aggrediti. E inevitabilmente scattava la reazione. Nel '70 – per dire - quando venne Almirante a Parma, venne sospeso il comizio perché avevano aperto il gas sotto la piazza. Fu bloccato tutto, perché bastava una cicca e saltavamo per aria tutti. Questo era il clima. Uno scontro diretto tra destra e sinistra. E un odio atavico. Lo scontro più grosso lo abbiamo avuto con Lotta Continua.

C'è un interrogativo circolato per molto tempo: ci furono anche ragioni sentimentali che portarono a quello scontro tragico? C'era una donna di mezzo?

Queste sono storielle... la cassiera del cinema Roma l'avevo conosciuta in quel periodo perché era venuta nel nostro bar in via Farini, dalla Franca. Era in short, aveva una medaglietta con la falce e il martello, abbiamo fatto due chiacchiere, scherzando le avevo detto :“non è salutare venire qui con il simbolo della falce e martello”...Ci siamo incontrati qualche giorno dopo e siamo stati insieme. Io ero fidanzato in quel periodo con la Lidia , la sorella di Ringozzi (uno dei partecipanti alla spedizione contro Lupo ndr), abitavo con lei. Con questa ragazza è stata un'avventura. Eravamo giovani e liberi. Quella sera passai dal cinema entrai e le chiesi se ci vedevamo dopo il suo turno di lavoro. “Ti aspetto, quando esci ci vediamo qui di fianco, al bar Moderno”. Lei mi disse di sì e me ne andai. Quando torno in via Farini, incontro Ringozzi che mi dice: “guarda che ha telefonato una ragazza a casa che si è presentata come la tua ragazza e mi ha detto di non andare al cinema Roma perché quelli, i rossi, ti aspettano. Ti vogliono fare, come si diceva allora, “la torta”. Ma io vado lo stesso, ero molto impulsivo, non accettavo il fatto di avere paura, e mi presento al cinema Roma. Quando lei mi ha visto lì, si è spaventata, mi ha detto: vai via. Esco e mentre attraverso la strada vedo arrivare una Dyane con Lupo, Todaro, Piazza e qualcun altro. Nel frattempo, comincia ad uscire la gente dal cinema. Mi giro e parte di corsa Lupo contro di me, nel frattempo arriva Ringozzi, salta addosso a Piazza lo solleva di peso e lo butta contro una macchina. Lupo mi dà un pugno in faccia e io tiro fuori il coltello e gli do una coltellata... ma ero convinto di averlo solo ferito. Lui era aperto con il respiro, il cuore era in sistole, il coltello è entrato di 4 centimetri. Queste cose sono riportate nella perizia. E' stata una cosa non voluta ma accaduta. Con quel corpo a terra, molti hanno iniziato a scappare, io ho saltato la siepe e mi sono allontanato, sono tornato alla Federazione.

Come era finito a 18 anni a militare nelle file del Msi?

Ho iniziato a 14 anni, per curiosità. Sapevo che ce l'avevano tutti con il Movimento sociale e allora io volevo stare da quella parte lì. E poi sono stato influenzato da mia madre che era di una famiglia veramente fascista. Il padre aveva fatto la Marcia su Roma, a casa si cantavano le canzoni fasciste. Mio padre, invece, era socialista. Il suo grande errore è stato quello di non avere mai cercato di inculcarci le sue idee. Ha delegato a lei l'educazione di noi figli. Che tra l'altro era normale per quei tempi.

Lei e Lupo avevate la stessa età, le vostre famiglie erano numerose. Muratori entrambi i padri, ma i contesti erano diversi.

In casa mia lavorava solo mio padre, era muratore, lavorava a cottimo e guadagnava bene. Io Lupo lo conoscevo, si può dire che eravamo amici, eravamo andati anche a ballare qualche volta. A volte anche insieme a Cacciatore, Piazza... li conoscevo tutti. Anche perché quando sono venuti su dal Sud mia madre gli aveva dato materassi, un letto, dei mobili, e un sacco di altre cose. Li aveva aiutati.

Quindi lei mi sta dicendo che non c'era razzismo per il fatto che erano immigrati venuti dal Sud?

Ma no, si immagini che uno dei miei coimputati, Saporito, era di Torre Annunziata, pure Tommaselli, poi scagionato, era del Meridione. Carmine Gatto anche lui di Napoli. C'erano magari delle parole grosse che volavano durante gli scontri...

Che sono stati tanti, in quegli anni e in quei mesi e settimane precedenti l'omicidio.

Vero. C'è stato un fatto, prima dell'evento molto importante. 20 giorni prima Lupo Cacciatore e altri di Lotta Continua entrarono nel bar della Franca di via Farini, per minacciarci. E ci affrontammo. Pochi giorni dopo io ero in Piazza, eravamo seduti a mangiare un gelato, quando arrivarono i soliti compagni. Mi cominciano ad insultare... i miei amici hanno provato a convincermi ad andare via ma io rimasi lì. Mi presero a seggiolate, io entrai nel bar dell'Orologio presi una bottiglia e reagii. Arrivò la polizia che mi portò in questura dove rimasi per 5 ore. Ma erano stati loro ad aggredirmi, io mi ero difeso.

Ma lei mi vuol dire che era solo un'eccessiva esuberanza giovanile? Oppure lo scontro nasceva da ideali diversi e da una visione differente della vita?

Io avevo delle idee confuse, pensavo alla socializzazione delle fabbriche, loro portavano avanti il loro discorso politico, che non so di preciso cosa fosse, ma sicuramente tutti quanti volevamo la realizzazione di ideali come la giustizia sociale, la parità tra uomo e donna, la libertà sessuale. Erano gli anni degli hippy e tutti ne eravamo contagiati.

Arriviamo ai giorni e alle ore precedenti l'aggressione davanti al cinema Roma.

Io intanto, proprio per le continue aggressioni e anche per una denuncia che mi aveva fatto Lupo dopo l'ennesimo scontro in un bar di via Mantova, ero andato ad abitare a Reggio con Lidia da un amico; sono stato lì un po' di giorni fino a quando non mi chiama mi sorella più grande, Maria, spiegandomi che hanno aggredito mio fratello Mario e gli hanno tirato un mattone sulla macchina, e poi che avevano fatto male alla sorella più piccola, Anna, che aveva 12 anni strattonandola per un braccio. Sempre loro, quelli di Lotta continua, avevano minacciato anche mia sorella Maria buttandola contro un muro e dicendole che mi avrebbero ucciso. A quel punto torno a Parma. Vado in piazza, con Ringozzi e Magnani, e vedo il gruppo dei compagni. Mi avvicino a loro, insulto Lupo e lo sfido: “Hai detto che mi ammazzi? Vieni. Se ce l'hai con me, prenditela con me, non toccare le mie sorelle”. La cosa finì lì. E il seguito ci fu alla sera.

Dopo l'aggressione, la fuga e poi l'arresto a Roma dove si andò a costituire.

Quando abbiamo saputo che c'era un morto, siamo scappati in macchina a Perugia, a casa di una amico. Poi da Perugia siamo andati a Roma in treno. Già lì i miei amici hanno cominciato ad allontanarsi da me quasi avessero paura. Mi sono andato a costituire quando ho saputo che accusavano Ringozzi dell'omicidio. Sono rimasto in isolamento 40 giorni su un pancaccio di legno con il buiolo di fianco, senza coperte con un fetore terribile nella cella. Quando presero Ringozzi, Ferrari e Saporito, dichiararono che eravamo scappati insieme in macchina e che mi avemvano convinto loro a consegnarmi. Cosa vera, io non mi sarei mai costituito, ma loro erano veramente angosciati e mi dissero: la responsabilità è tua ed è giusto che ti vada a costituire. Io per loro avrei dato la vita, e quando mi hanno detto così mi sono sentito qualcosa dentro al cuore che mi faceva un male incredibile.

Cosa si aspettava?

Non so.. io in quel momento ero esaltato, ero pronto a fare la guerra, pensavo: ce ne andiamo all'estero, facciamo qualcosa, non ci fermiamo. Con loro e per loro avrei fatto qualsiasi cosa. Io avrei anche potuto negare tutto, invece non l'ho fatto, mi sono preso le mie responsabilità; ma in quel momento mi è morto qualcosa dentro per sempre. Quel qualcosa è il senso di amicizia. Faccio sport, reiki e una marea di cose spirituali ma non ho mai più ritrovato quel sentimento e ho un distacco completo nei confronti degli altri.

Cosa è successo dal momento del suo arresto in poi?

Sono stato 40 giorni in isolamento completo, in San Francesco, dove mi sono venuti a trovare i miei e Lidia, ci sono rimasto 6/7 mesi. Dopo mi hanno trasferito a Spoleto, e a poi Piacenza dove ho tentato di evadere insieme a dei sardi. Seghiamo le sbarre, scendiamo con le corde in cortile, ma uno dei detenuti aveva fatto la spia. Quindi quando siamo in cortile ci hanno sparato. Siamo rimasti lì a terra, poi ci hanno messo in isolamento: mi hanno legato - testa braccia, gambe - e per una settimana mi hanno tenuto nudo in un letto di contenzione. Dopo Piacenza mi mandarono a Brescia, dove conobbi diversi esponenti legati a Fumagalli, facemmo una rivolta bella dura, con la gente sotto che manifestava per noi, tutti della sinistra e di Lotta continua. Urlavano dall'esterno “compagni carcerati c'è un fascista tra di voi, uccidetelo”...Ero io. Dopo questa rivolta ci massacrarono di botte e mi trasferirono a Pianosa.

Immagino per ragioni di schieramento politico...

Certo... perché ero un fascio. Mi volevano uccidere. Ferii uno o due di questi che mi avevano aggredito. Loro mi denunciarono, ci fu un processo anche per questi fatti, ma alla fine fummo tutti assolti.

E non siamo ancora arrivati al giorno del processo di primo grado.

No. Dopo Volterra mi trasferirono a Pesaro perché il processo era stato spostato a Ancona per motivi di sicurezza. Andai al processo che avevo ancora i segni delle ferite. Perché non mi cucì un dottore, ma un ergastolano, uno della banda Giuliano, con ago e filo. Al processo e davanti al tribunale c'era una marea di gente che manifestava, c'erano anche Dario Fo e Franca Rame. C'erano dei pupazzi, uno con la mia faccia, che bruciarono dopo averli impiccati davanti al tribunale. Questo insomma era il clima.

Come andò?

Al primo grado mi diedero 11 anni per omicidio preterintenzionale, il massimo praticamente. I giudici popolari mi dissero: “ci dispiace.. perché noi abbiamo fatto di tutto, ma non hanno voluto darti la legittima difesa”. I magistrati avevano paura della piazza. Poi in appello mi hanno dato 14 anni e otto mesi per omicidio volontario. Ai miei coimputati molto meno: Ringozzi 6 anni, Saporito 4,5. Ferrari assolto. Incredibile quello che è accaduto dopo la sentenza. Mi scarcerano per l'omicidio per scadenza termine e mi fanno un mandato di cattura per il tentativo di evasione di Piacenza, solo per avere segato delle sbarre. Il mio avvocato fece ricorso a Strasburgo e l'Italia è stata condannata per questo fatto perché mi hanno continuato a tenere in carcere anche se avrei dovuto essere libero per decorrenza termini.

E continua a “visitare” altre carceri...

Da Campobasso mi trasferirono a Brindisi, dove conobbi Freda, lo aiutavo a correggere le bozze, lui aveva una casa editrice... per un po' di tempo sono rimasto molto amico, abbiamo continuato a scriverci fino a quando non è stato imputato per strage. Quando mi sono reso conto che era veramente responsabile di strage ho rotto. Dopo Brindisi, Lecce, e poi Bologna. Dove c'era Ringozzi, che era matricola. E da lì a Padova dove feci un tentativo di evasione insieme ad altri detenuti. Sequestriamo e leghiamo guardie e detenuti, abbiamo aperto un buco sul tetto, per saltare su un altro tetto. C'era un bel dislivello, con il rischio di farsi molto male. Lì ho pensato a uno che mi aveva letto la mano e mi aveva detto che sarei morto a 82 anni. Allora ce la posso fare, mi sono detto. Sono saltato ed è ceduto il tetto, mi si è spaccato il malleolo, ho preso la gamba, mi sono raddrizzato l'osso e ho fatto un altro salto, però sono rimasto lì perché è uscito l'osso. Ecco: lì ho pensato di suicidarmi. Avevo un coltello me lo sono puntato, ma non ce l'ho fatta. Mi hanno sparato addosso... e mi fanno portato di nuovo in carcere. Anche lì, insieme ad altri, mi hanno massacrato di botte senza pietà, mi hanno portato all'ospedale il giorno dopo. Sequestro di persona, evasione, documenti falsi, altro processo, altra condanna. Sono stato un po' all'ospedale per via delle fratture, un po' di pace … e poi un altro trasferimento a Favignana, con le celle sottoterra. Lì ritrovai Mario Tuti. E c'erano anche molti brigatisti. Ci tenevano divisi. Da lì poi andai a Trani, dove rimasi abbastanza tempo: qui conobbi Angelo Izzo (uno degli autori del massacro del Circeo e responsabile di quello di Ferrazzano ndr).

E ne divenne amico, uno dei criminali più spietati della recente storia italiana.

Era una persona intelligente, sapeva parlare molto bene... lo facevamo scrivere su una rivista che avevamo fondato con Tuti e gli altri che si chiamava Quex per dimostrare che anche uno come lui si poteva salvare. Ci siamo sbagliati. Poi ci siamo persi, perché ho fatto altri carceri, fino a quando sono arrivato a Novara, dove ho assistito all'omicidio di Ermanno Buzzi, imputato per la strage di Brescia, ritenuto l'esecutore materiale della strage . Fu strangolato da Concutelli e Tuti, lo hanno confessato (il 13 aprile, Buzzi fu assassinato sotto gli occhi di tutti durante l’ora d’aria dai due terroristi neri, Pierluigi Concutelli, comandante del movimento politico Ordine Nuovo e da Mario Tuti, del Fronte Nazionale Rivoluzionario, che lo strangolarono con le stringhe delle scarpe ndr). E qui mi succede che un pentito mi accusò per “sentito dire” di avere partecipato all'omicidio di Buzzi. Cosa folle, mi mancava poco ad uscire e vado a fare un omicidio? A seguito di questo – io ero già trasferito a Nuoro nel carcere di Badu e Carros con Concutelli, altri detenuti comuni e BR – e assisto a un'altra cosa terribile, l'omicidio di Francis Turatello, ucciso a coltellate.

Sembra che lei si trovi sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Stavo passeggiando con dei detenuti comuni. Concutelli era seduto su una panchina, di lato, dall'altra parte arrivavano Turatello con degli altri. Dentro di me ho avuto come un presagio: mi sono detto sta accadendo qualche cosa. Ma non c'erano brigatisti attorno quindi, ho pensato che non poteva succedere niente ... eppure io mi sentivo in pericolo. Mi giro e vedo un detenuto, si chiamava Faro, che parte e dà un primo colpo a Turatello che reagisce, poi gli si avvicina Andraous e blocca Turatello infine arriva anche Maltese. Gli si avventano contro, gli aprono la pancia e lo uccidono. (Turatello venne assassinato il 17 agosto 1981, all'età di 37 anni, nel carcere di massima sicurezza di Nuoro ndr.) Da lì mi spedirono ad Ascoli Piceno. Io lì ero con Fioravanti, Izzo, i fratelli Lai, Nistri, tutti fasci. Una giornata arriva il maresciallo che mi comunica che mi avrebbero messo in isolamento, “ti è arrivato un ordine di cattura per l'omicidio di Buzzi”. Mi hanno tenuto isolato quasi un anno.

E come è sopravvissuto?

Non avevo niente, non avevo libri, televisione, non potevo scrivere. Passavo tutto il giorno a fare delle flessioni. Arrivavo a farne 800 consecutive, quello mi ha aiutato. Poi ho avuto il processo e mi hanno assolto per non avere commesso il fatto. Mi sono successe cose incredibili... Mi accusarono anche di avere partecipato alla strage di Bologna. Ma come sarebbe stato possibile? Era una vita che ero in carcere, poi io sono sempre stato contro le stragi.

Finalmente esce dal carcere, siamo nell'86. Ha scontato la sua pena, è stato scagionato dalle varie accuse (omicidio Buzzi e strage di Bologna) è libero.

Si, l'ultimo carcere è stato Rebibbia. Quando sono uscito sono andato da mia sorella che viveva a Roma, mi ricordo di essere rimasto impressionato dall'odore dello smog, gli scarichi della macchine. Non lo avevo mai sentito praticamente. Arrivato a Parma ero completamente spaesato, non mi sentivo parte della vita normale, non riuscivo più ad integrarmi. E qui ho pensato più volte al suicidio.

Però si rimette di nuovo nei guai perché nell' 87 viene arrestato a Parma per rapina. E nel '94 ha un altro arresto per droga.

Fu fatta una rapina in banca a san Lazzaro, io non ero lì ma mi hanno ritenuto il basista. Ho fatto un po' di disastri, vero. E nel febbraio del '94 venni arrestato per una storia di droga: io della droga sapevo, perché la feci nascondere in un posto dove vivevo, ma non c'entravo assolutamente niente.

Lei ha avuto un ruolo importante come collaboratore di giustizia e accusatore delle stragi. E questo le servì anche per non finire in carcere dopo l'arresto per rapina del 1987.

Essendo stato in cella con quasi tutti i terroristi e gli esponenti dell'estrema destra avevo guadagnato la fiducia di tutti. Per questo sono stato considerato come uno dei principali testi di accusa. Tanto è che il gip milanese Guido Salvini che aveva aperto un'istruttoria sulla strage di piazza Fontana ha dedicato un intero capitolo dell'ordinanza alle mie rivelazioni. Io gli feci una cronistoria di quello che poteva essere accaduto. Nel momento in cui sono venuto a conoscenza che la responsabilità era di Ordine Nuovo, in seguito ai dibattiti che c'erano stati all'interno delle carceri di Novara, Ascoli ecc, come movimento rivoluzionario, si è decisa la condanna di chi aveva commesso le stragi. In seguito quando sono stato contattato dai Ros che mi chiedevano una ricostruzione storica delle stragi, ho ritenuto giusto farla.

Lei è ancora ancora fascista? Cosa pensa dell'attuale governo?

Non mi sento per niente fascista e forse non lo sono mai stato. Junger mi avrebbe definito anarca, cioè faccio parte di questa società, la subisco ma non mi ci riconosco. Dell'attuale governo penso ogni male: fatto da persone piene di egoismo e violenza, che hanno le mani lorde di sangue per quello che sta accadendo in Palestina, e non hanno il coraggio di dissociarsi. I decreti legge sono vergognosi. La destra sociale non esiste più, ma solo un conservatorismo radicale. Hanno tolto il reddito di cittadinanza che poteva aiutare tante persone hanno reso ancora più precario il lavoro... Una volta dissi una cosa con i miei “camerati” quando ci trovavamo al Cavallo bianco in borgo Lalatta, e volevamo creare un movimento politico: se io fossi esistito all'epoca del fascismo sarei stato partigiano. Non potevo e non posso sopportare la violenza, l'ordine e la disciplina imposte dall'alto.