Green Money

Jacobazzi: «Io, assolto dopo 14 anni di calvario»

Roberto Longoni

Passò dal sonno all’incubo. Scaraventato giù dal letto all’alba, Giovanni Maria Jacobazzi spalancò la porta a una pattuglia di finanzieri. «Smontato tutto per la perquisizione, mi portarono al Comando (della Polizia municipale, ndr) per passare al setaccio l’ufficio, sotto gli occhi costernati della mia segretaria Patrizia Pietra».

In quella casa alle spalle di via Farini, l’ex comandante dei carabinieri del Nas chiamato nel 2008 (37enne, il più giovane comandante di Polizia municipale d’Italia) dall'allora sindaco Pietro Vignali a dirigere il Settore sicurezza del Comune, era rientrato da libero cittadino la sera prima, dopo aver onorato la tortellata di San Giovanni come da tradizione. Sarebbe uscito in manette, al centro di obiettivi e telecamere: la dolce rosäda si era trasformata in un fiume di fango. Era il 24 giugno 2011: per lui non sarebbe stato che l’inizio. «Fui fotosegnalato in via Torelli. Dopo pranzo, venni portato in via Burla: arrestato per corruzione. Rimasi in cella 40 giorni, e conobbi persone delle quali conservo bellissimi ricordi, prima dei due mesi ai domiciliari e poi con l’obbligo di dimora nella mia Santa Marinella».

Per la giunta Vignali l’arresto significò l’apertura di una crepa che avrebbe fatto crollare l’intera diga, con spargimento di fango generale. Green Money, l’inchiesta che fece gridare allo scandalo e riempì le vie di fiaccolate e affollò i Portici del grano di indignados con pentole-tamburi, fu un colpo al cuore. Nulla sarebbe più stato come prima. Al potere a Roma pochi anni dopo il M5s è facile pensare sia arrivato grazie anche alla conquista di Parma, con l’elezione di Federico Pizzarotti al posto di Vignali a sua volta arrestato (e messo ai domiciliari). Elezioni avvenute dopo che lo stesso procuratore capo di Green money si era candidato nella lista civica di centro-sinistra poi sconfitta dal M5s. Enormi le ripercussioni, incommensurabili con la realtà. Specie se si pensa che alla fine tutti gli imputati sarebbero usciti assolti dai processi per questa grande indagine. Tutti tranne chi patteggiò: Vignali tra questi, soprattutto per la difficoltà a vivere all’ombra di una tale spada di Damocle. «Anche lui sarebbe stato assolto, come i coimputati andati a processo» assicura Jacobazzi.

L'ex numero uno di via del Taglio, invece, con questa ombra ha affrontato una maratona di 14 anni. Il traguardo della dimostrazione dell'innocenza l’ha tagliato anche grazie all’accensione di una macchina del tempo giudiziaria. «Il mio processo poteva concludersi con una prescrizione, e invece Maurizio Boselli, il presidente della Sezione penale del Tribunale di Parma, ha voluto ricelebrarlo. Esaminati gli atti del primo grado, ha concluso con l’assoluzione con formula piena: “per non aver commesso il fatto”».

Ma qual era il «fatto»? «Aver intascato 5mila euro per l’affidamento ad Alessandro Forni della realizzazione dell’area di sgambamento delle unità cinofile della Municipale. Cinquemila euro per un appalto da diecimila: di quest’assurdità avrei dovuto rispondere io, che gestivo un bilancio da 18 milioni di euro, che avevo acquistato 200 pistole e le tute operative per il Corpo, che avevo rinnovato il parco mezzi… Senza mai un problema». Per affidare i lavori non serviva gara d’appalto. «La spesa era di 10mila euro, appunto, metà della cifra al di sopra della quale per legge andava indetta una gara. Bastò un giro di chiamate per avere conferma della congruità del preventivo». Altri, invece, le telefonate le ascoltarono, in un anno di intercettazioni. Jabobazzi provò anche a chiedere all’imprenditore quanto potesse costare la sistemazione del verde nella propria abitazione di Santa Marinella. Cinquemila euro fu la risposta: da qui la cifra della presunta mazzetta. «Per gli investigatori mi era stato anche piantato un ulivo secolare. C'era, sì, ma nel giardino del vicino. Io sto al secondo piano: il mio balcone non può certo ospitare piante secolari».

«Mi misi a disposizione per fornire ogni chiarimento – prosegue Jabobazzi -. Ma sentivo un enorme senso di impotenza: nessuno mi credeva. Furono quelli i momenti più bui. Potevo solo sperare che il processo si facesse in tempi brevi». E invece fino al 2015, anno di chiusura delle indagini, l’ex capo dei vigili non seppe più nulla. Intanto, senza più un impiego e condannato per la sua «macchia» a non trovarne altri, tirò avanti con lavoretti saltuari al porto di Santa Marinella. Nel 2014, l’incontro con il giornalismo. «Fu l’ex parlamentare Tiziana Maiolo – spiega l’attuale redattore de “Il Dubbio” - a propormi di scrivere per Piero Sansonetti, per il “Garantista di Calabria”: mi specializzai in cronache giudiziarie, raccontando le disavventure di chi non ha voce».

Nel 2015, finalmente, fu del proprio processo che Jacobazzi si dovette occupare. La vecchia accusa di corruzione cadde, ma solo per lasciare spazio a una nuova: tentato abuso d'ufficio. «Fui condannato a tre anni: mi furono perfino negate le generiche concesse a tutti». D'obbligo il ricorso in appello. Con l'avvio di quello da lui definito «secondo gorgo». Nonostante i quattro solleciti (quanto mai insoliti, quando in genere si punta alla prescrizione), «fui tenuto in sospeso fino al 2023. E alla fine, con un colpo di teatro, Bologna rimandò a Parma il fascicolo, essendo io stato condannato per un'accusa diversa rispetto al capo d'imputazione originale. E qui Boselli, anziché archiviare con un tratto di penna, ha rifatto l'istruttoria». Morale? Piena assoluzione. Jacobazzi non fu corrotto né tentò di commettere abuso d'ufficio. «Magra consolazione. Ma sono felice soprattutto per mio figlio di sei anni: suo padre non è l'appestato che si porta addosso un'accusa del genere, che se si fosse rivelata fondata mi sarebbe costata il milione e 200mila euro speso per l'inchiesta. Mio papà, invece, morto nel 2019, non ha fatto in tempo a vedere la fine di questa storia da me vissuta come una malattia cronica». Ma finisce davvero qui? «Sto valutando una causa allo Stato sulla base della legge Pinto, per l'eccessiva durata del processo. Posso solo dire però che quando esci da un calvario del genere non riesci nemmeno più a essere contento. So solo di aver portato questa croce con grande dignità. E che ho avuto la conferma che nella vita non bisogna arrendersi mai, ma guardare sempre avanti».