Regista
Jeff Lieberman a Parma: «Il cinema horror è come la musica rock, può dire ciò che altrove è vietato»
«Non ho mai voluto fare film normali. Mi interessava disturbare, spiazzare, magari anche far ridere, ma sempre lasciando un segno». Così il regista statunitense Jeff Lieberman sintetizza la sua idea di cinema indipendente. A quasi cinquant’anni dalla sua uscita, «Squirm» — il suo folgorante esordio del 1976 — è tornato sul grande schermo ieri sera per la rassegna «I giardini della paura»: un’occasione per (ri)scoprire uno dei titoli più sorprendenti del body horror americano anni ‘70.
«Se qualcuno mi avesse detto che questo film sarebbe stato visto tra 50 anni, da persone ancora non nate, avrei pensato: Ma cosa bevete?» confessa Lieberman. «Non credo di meritare questo successo, lo devo al pubblico», aggiunge. Proprio questa consapevolezza ha attenuato il suo “cinismo”: «Sono loro che continuano a guardare e ad apprezzare i miei film», dice sorridendo, riconoscendo il valore della sua opera per le nuove generazioni.
Tutto è iniziato con «Blow-Up» (1966) di Michelangelo Antonioni: «E’ stato il film che mi completamente cambiato» racconta. Prima di allora, il cinema non lo interessava affatto: «Non volevo nemmeno andarci per degli appuntamenti. Uno spreco di tempo non parlare con la tua ragazza per due ore». Oltre ad Antonioni però, tanti altri artisti come De Sica, Truffaut e Hitchcock gli hanno fatto capire il vero potenziale espressivo del cinema. «Il cinema poteva essere arte, la mia arte». Da questa consapevolezza nasce Squirm, il suo cult d’esordio che lo consacra come regista horror. «Ci è voluta molta fatica, ma è stato anche molto divertente. Ho studiato ogni singolo dettaglio per suscitare reazioni autentiche nel pubblico».
Sul genere horror, si mostra deciso: «Credo sia uno dei pochi mezzi capaci di veicolare la critica sociale con il supporto dell’humor nero. Come il rock and roll nella musica, l’horror permette di dire e mostrare ciò che altrove sarebbe vietato». Ogni dettaglio, infatti, non è lasciato al caso per un genere che rimane completamente estraneo alla produzione attuale. «L’industria cinematografica di oggi è fatta di cliché. Non la seguo e sto bene così», ammette il regista, schierandosi nettamente contro i blockbuster e il cinema mainstream da fumetto: produzioni come Harry Potter o i film in CGI con immagini generate al computer non lo coinvolgono. Il suo interesse resta concentrato su scrittura e drammaturgia, non sulla spettacolarità visiva. Un punto in comune però c’è: la difficoltà nel trovare fondi. Con budget ridotti, la competizione è spietata. L’indipendenza stimola la creatività, ma richiede enormi sacrifici, soprattutto per un giovane regista senza sostegno familiare. Nonostante riconosca il valore formativo di questo percorso, il suo consiglio ai giovani che vogliono intraprenderlo è chiaro e deciso: «Non fatelo!».
Althea Squiccimarro