Giubileo dei giovani
«Insieme per dare il meglio di noi»
Alle due di notte, s’è messo a piovere. Quasi che anche così il cielo volesse farsi sentire vicino alla folla distesa all’addiaccio in cerca di un improbabile riposo. «Es l’agua del Señor» ha esclamato uno spagnolo, facendo capolino da un sacco a pelo. «Sì, ma sta anche piovendo» gli ha sorriso don Lorenzo Beltrame. Dieci minuti è durata: quanto basta per bagnare. «Eravamo attrezzati, alcuni anche con gli ombrelli, ma solo al mattino ci siamo sentiti di nuovo asciutti» spiega il sacerdote in missione con la spedizione parmigiana, appena rientrato nella parrocchia di San Giuda Taddeo a Roma, dopo la messa del mattino presieduta dal Pontefice. Qui sono ospitati cento dei 110 ragazzi parmigiani (gli altri sono nella parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio).
L’entusiasmo anche per la pioggia, in genere accolta con ben altro spirito, la dice lunga sul viaggio nel cuore del Giubileo dei giovani. Ci sarà tempo per metabolizzare e riflettere, anche dopo l’incontro di «restituzione e condivisione» nel quale i 110 si sono confrontati ieri sera, spalleggiati dai loro sacerdoti. Gli stessi con i quali, venerdì, nella veglia penitenziale presieduta da monsignor Enrico Solmi, hanno fatto tardi per confessarsi: don Enrico Rizzi (parroco della Trasfigurazione), don Roberto Grassi (San Marco), don Luciano Genovesi (San Lazzaro), don David Reyes (viceparroco di Langhirano), Francesco Rossolini (San Paolo Apostolo) e padre Francesco Ravaioli (guardiano di San Francesco del Prato e incaricato della Pastorale universitaria). «Pensavamo che le confessioni sarebbero finite verso le 22,30, ma la partecipazione è stata tale che ci si è spinti fino a poco dopo la mezzanotte» racconta don Lorenzo, (Pastorale giovanile e vicario di Monticelli), a sua volta a Tor Vergata.
L’ultimo ad ascoltare i ragazzi, insieme con don Rizzi, è stato proprio il vescovo. «Un’esperienza forte, vissuta con una gran voglia di stare insieme e di crescere - commenta il pastore della Diocesi di Parma, a conclusione della messa presieduta da Benedetto di ieri mattina, un altro dei momenti cardine del Giubileo dei giovani, davanti a un milione di ragazzi venuti da tutto il mondo -. Il Papa li ha invitati a continuare ad avere coraggio e a dire e a fare le cose migliori che hanno dentro di loro». Monsignor Solmi conclude con uno sguardo al futuro. Non solo per l’appuntamento a Seul nel 2027. «Bello vedere giovani di nazioni diverse, casomai con i loro capi che si guardano in cagnesco, che fanno amicizia e lodano il Signore per dare un contributo nuovo alla nostra società e alla nostra città».
E poi c’è stato il silenzio, durante la veglia di sabato con Benedetto. Immenso e sacro. «Mezz’ora di silenzio di preghiera – racconta don Lorenzo – con l’adorazione dell’ostensorio, intervallato, da brevi canti. Come due anni fa a Lisbona, per la Giornata mondiale della gioventù, quando si sentiva solo il vento, in riva all’oceano». A Tor Vergata, tutt’al più, era il battito all’unisono di un milione di cuori a farsi udire. Il Pontefice, a bordo della papamobile, si è addentrato più volte lì in mezzo, prima e dopo, per mostrarsi il più possibile vicino a tutta quella moltitudine. «Ha fatto breccia – sottolinea il sacerdote parmigiano -. Ha mostrato grande delicatezza nei confronti di tutti. Ha invitato a volare alto, ben al di là dei “surrogati inefficaci”. Sono tante le parole di speranza che hanno accompagnato le sue». I sei chilometri a piedi dalla spianata della cerimonia fino ai pullman sembravano fatti apposta per rifletterci su, dopo la messa. Senza perdere di vista la bandiera tricolore accompagnata da una sciarpa gialloblù innalzata da chi, in testa al gruppo, doveva indicare il cammino.
Roberto Longoni