CHIUSE LE INDAGINI
Morta di overdose a 15 anni, l'amico indagato per omicidio preterintenzionale e omissione di soccorso. Altri tre giovani sotto inchiesta
Solo una ragazzina, Nina (la chiameremo così). Se ne è andata poco più di un anno fa a casa di un amico. Maledetti cristalli di Mdma, anfetamine, tipo ecstasy, sciolte in un po’ d’acqua. Ma forse poteva essere salvata, se qualcuno avesse tempestivamente chiesto aiuto. Perché Nina, 15 anni appena, studentessa del Romagnosi, quell'11 agosto, aveva cominciato a stare male ore prima, secondo quanto ricostruito dagli investigatori. Eppure, solo la mattina successiva, quando si era svegliato, l’amico - 20enne, origini moldave - aveva dato l’allarme, ma Nina non c’era già più. Era morta tra le 2 e le 4, come ha accertato l’autopsia, distesa su un letto di quell'appartamento nella zona est della città. L’inchiesta, portata avanti dalla squadra Mobile e coordinata dalla pm Francesca Arienti, è stata chiusa. E i reati, per ora, sono pesantissimi: l’amico è indagato per omicidio preterintenzionale (in subordine da riqualificare come morte in conseguenza di altro reato, ossia della cessione di droga), omissione di soccorso e spaccio. Ma, insieme a lui, altri due ragazzi - due 19enni parmigiani - sono sotto inchiesta anche per omissione di soccorso (uno dei due anche per spaccio). E a un’altra 20enne, residente a Parma, è contestato il reato di spaccio.
Sono passati mesi. Ma gli investigatori sono riusciti a ricostruire, tassello dopo tassello, la serata dell'11 agosto, le ore del pomeriggio precedente e quelle della notte, fino alla morte di Nina. E se all'inizio determinate responsabilità sembravano più sfumate, gli approfondimenti hanno portato a disegnare uno scenario completamente diverso. Inquietante. Almeno per quanto ricostruito dalla procura.
Secondo quanto riportato nell'avviso di conclusione delle indagini, Nina e l'amico si sarebbero procurati insieme i cristalli di Mdma, verso le 21: a cederli sarebbe stato uno dei due 19enni. Che, a sua volta, avrebbe acquistato nei giorni precedenti la droga dalla 20enne parmigiana, per altro arrestata una decina di giorni dopo sempre per spaccio.
Quella sera, così come aveva raccontato il padre di Nina in un'intervista alla «Gazzetta», la figlia gli aveva inviato due vocali: il primo, poco dopo le 20, in cui diceva di essere a Porporano insieme all'amico, e il secondo alle 22,10, quando tutti e due erano già a casa del ragazzo. E in quell'ultimo messaggio Nina aveva espresso il desiderio di restare a dormire a casa dell'amico, in modo da non svegliare il padre al suo rientro a casa, visto che lui doveva alzarsi piuttosto presto.
Nina era parsa lucida. Il tono della voce per nulla alterato. Ma trascorrerà circa mezz'ora prima dell'assunzione della sostanza, secondo quanto accertato dagli investigatori: una decina di minuti prima delle 23, infatti, l'amico ha offerto un bicchiere d'acqua a Nina dentro il quale erano stati sciolti i cristalli di Mdma. Acqua che solo in piccola parte lui ha sorseggiato, mentre la ragazza ha bevuto tutto il resto. Nessuna imposizione, perché Nina ha accettato senza porre problemi, ma trattandosi di minorenne, per la legge era «incapace per età» e il suo «consenso invalido», come si sottolinea nell'atto di conclusione delle indagini. Ed è stato lo stesso amico a fare quattro video con il suo telefonino mentre lui e la ragazza assumevano la sostanza.
Ma l'euforia era svanita in fretta. Nina aveva cominciato ad avvertire sempre più caldo. Insieme all'amico, aveva quindi deciso di uscire per acquistare dell'acqua fresca. Tuttavia, una volta rientrati in casa, quella sensazione non se ne era andata. L'acqua le aveva dato sollievo, tanto che si era svestita e si era fatta anche una doccia. Ma la temperatura corporea saliva, e lei si sentiva sempre più spossata: i movimenti si facevano difficoltosi e anche le parole uscivano a fatica. Si era coricata sul letto nella camera della madre dell'amico, che quella sera non era a casa. E a quel punto il ragazzo aveva deciso di chiamare il 19enne che gli aveva ceduto i cristalli di Mdma qualche ora prima.
Era arrivato poco dopo. In compagnia di un amico, del coetaneo che comunque era presente quando qualche ora prima c'era stato lo scambio della droga. Erano in tre in quell'appartamento, mentre Nina stava male. «Per oltre due ore, in presenza della ragazza sofferente, sempre distesa sul letto, poco più che immobile - scrive la pm nell'avviso di conclusione delle indagini - perseveravano nel non chiamare i soccorsi, optando, di contro, per mettersi alla ricerca, tramite contatti Instagram e WhatsApp, di altra sostanza stupefacente, in particolare, cocaina».
Prima uno, poi l'altro, i due ragazzi se ne erano andati dall'appartamento. E l'amico di Nina? Se ne era andato a dormire nella propria camera, dopo aver eliminato i video dal telefonino che avevano immortalato il momento in cui lui e Nina (soprattutto) avevano bevuto l'acqua con i cristalli di ecstasy, oltre ad alcuni messaggi inviati per cercare altra droga. Solo al risveglio, chiamerà l'ambulanza. Ma Nina era già morta. Per un'ipertermia maligna scatenata da quei cristalli «con principio attivo in concentrazione letale», si legge nell'avviso di conclusione delle indagini.
«È ancora presto per rilasciare eventuali commenti, perché ancora non abbiamo avuto modo di conoscere gli atti», sottolinea Matteo Bolsi, difensore del 20enne, il principale indagato. Ma tutti i quattro sotto inchiesta avranno venti giorni di tempo per presentare atti, documenti, memorie o per chiedere di essere interrogati. Poi, la procura potrà procedere o meno con la richiesta di rinvio a giudizio.
Per Nina. Per quella ragazzina, già sfregiata da grandi dolori nella sua breve esistenza, eppure così piena di energia. Di progetti.